mercoledì 21 dicembre 2011

Scossa dalle fondamenta la Basilicata dei boiardi

Qualcuno deve ricordare il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Potenza, S.E. Dott. Vincenzo Tufano, tuonare all'inaugurazione dell'anno giudiziario: “...si è fatto strame della giustizia...”.
Difronte e di lato le LL.EE. Gaetano Bonomi, Modestino Roca, i vertici dei Carabinieri e della Questura, gli avvocati ed i giornalisti.

S. E. Gaetano Bonomi - Sost. Proc. Gen.
S. E. Vincenzo TUFANO - Procuratore Generale












Le Eccellenze, vestite di porpora e addobbate d'ermellino, si compiacevano di dileggiare il magistrato titolare delle inchieste che avevano investito i massimi esponenti delle istituzioni lucane ad ogni livello.
Bei tempi, quelli, quando l'inchiesta a carico di una presunta associazione per delinquere che coinvolgeva magistrati, politici e imprenditori veniva presentata come una offesa ai lucani. 

Quando il Signor Vincenzo Folino dichiarava di conoscere il grande vecchio che aveva ordito il piano per diffamare la Lucania ed i suoi abitanti. 

Quando i parlamentari lucani (inquisiti e non) si affrettavano a manifestare solidarietà e vicinanza a quanti erano incappati nei rigori delle indagini preliminari tenute dalla Procura di Catanzaro

Bei tempi andati, finalmente!

Il Dr. Tufano Vincenzo è un pensionato e il Dr. Gaetano Bonomi si appresta a seguirlo.
Gli altri sono ancora in attività ma capiremo ancora per quanto e con quali responsabilità. Il fatto è che a fare “strame” dell'ordinamento giudiziario erano proprio loro, così ipotizza l'atto di chiusura di un articolato procedimento giudiziario firmato da due magistrati in servizio a Catanzaro.

Ma non è questo l'aspetto più significativo, poiché i procedimenti giudiziari sono solo una parte della realtà e colgono solo alcuni aspetti dei fatti, spesso nemmeno riuscendo a perseguire i reati che vi si ravvisano.

Quello che preme sottolineare è il sistema di potere e di governo del potere che da questa indagine emerge.
Ne fanno parte i massimi vertici della Procura Generale di Potenza, dei Carabinieri, della Polizia di Stato, della politica che si muovono come un'organizzazione malavitosa. Che minacciano, intimidiscono, perseguono o proteggono, falsificano, calunniano, articolano e dispongono. Ma non sono tanti.

Sono pochi uomini, inebriati del loro potere e presuntuosi di una impunità che, evidentemente, non gli viene più garantita dopo lustri di connivente acquiescenza: le polverose tesi di “Toghe Lucane”, scrivevano pochi mesi fa un direttore ed un noto scrittore, mentre invitavano ad una impossibile pacificazione senza verità.

Quelle stesse tesi, oggi cominciano ad assumere i contorni della stretta attualità e, forse, le premesse di una pacificazione vera, che sarà pensabile solo quando coloro che hanno oltraggiato i Lucani e fatto strame dell'ordinamento giudiziario saranno messi nelle condizioni di non nuocere, fosse anche solo per quiescenza se non per sospensione giudiziaria dalle funzioni.

Non si comprende come ad alcuni magistrati lucani sia consentito ancora oggi esercitare le funzioni giurisdizionali nelle aule in cui hanno fatto “strame” della propria funzione, mentendo, producendo falsi, violando i diritti di difesa, ignorando le informative della Guardia di Finanza. 
No, proprio non si comprende! (da L'indipendente Lucano, in edicola sabato 24 dic. 2011)

leggi: Avviso conclusione delle indagini






  



mercoledì 2 novembre 2011

Un'associazione per delinquere finalizzata ad ostacolare il procedimento penale denominato “Toghe Lucane”


Caaadeeeee! Il grido dei boscaioli nostrani o qualcosa di molto simile aleggia nei palazzi di giustizia lucani. E viene istintivo scansarsi, affinché il tronco gigantesco non travolga l'estraneo passante. Toghe Lucane non è archiviata, perlomeno non lo sono i “fatti reato” che conteneva, adesso lo sanno tutti ma forse l'hanno sempre saputo. Dire che l'avevamo detto, è un'ovvietà persino fastidiosa. Tuttavia l'avevamo pure scritto come, similmente, avevano fatto quanti raccontavano le loro opinioni su De Magistris, Toghe Lucane, Tufano, Bonomi e tanto altro. Ebbene, provate a leggere qualcosa sull'argomento trattato dalla stampa nostrana in questi giorni, se non vi crea eccessivo fastidio. A rileggere oggi i giudizi perentori e, a volte, sprezzanti di quanti si misero a cavallo dell'archiviazione di Why Not e Poseidone, prima; di Toghe Lucane, poi; si ha un'idea precisa dllo stato dell'informazione in questa regione e non solo. Inchieste che svelavano un mondo di connivenze, complicità e malaffare radicato nel tessuto politico, giudiziario ed economico della Basilicata e che in tanti si affrettarono a definire “bolle di sapone” o, addirittura, attentati all'onorabilità dei cittadini lucani. Siamo ancora in attesa che Vincenzo Folino ci sveli l'identità del “grande vecchio”, colui che avrebbe ordito quel complotto e messo in pratica una campagna denigratoria e diffamatoria tesa a colpire una regione virtuosa popolata da un popolo sano e saggio. Disse di conoscerlo e forse, oggi che riemergono tutti quei “veleni” di cui tanto si dolse, è giunto il momento di farlo conoscere a tutti noi. Dopo la scoperta che De Magistris aveva visto lungo e, soprattutto, che i vertici della politica (vedasi affaire “Fenice”) e della magistratura (vedasi Toghe Lucane) sono coinvolti in inchieste gravissime, il signor Folino e tutti i suoi amici del PD (al pari dei “finti” oppositori del PdL) dovrebbero dirci chi c'è dietro, svelare quello che dicono di sapere sin dalla prima ora. Invece tacciono, non avendo nemmeno il buongusto di fare ammenda per le solidarietà profuse abbondantemente agli indagati eccellenti. Il sostituto procuratore di Catanzaro, Francesco V. N. De Tommasi, scriveva il 28 febbraio 2008: appare allo stato astrattamente configurabile un'associazione per delinquere finalizzata ad ostacolare il procedimento penale denominato “Toghe Lucane” e pochi giorni dopo iscriveva l'ipotesi di associazione per delinquere, abuso d'ufficio, rifiuto di atto dovuto, rivelazione del segreto d'ufficio e la minaccia a carico di: Vincenzo Tufano (Proc. Gen. a Potenza), Giuseppe Chieco (Proc. Capo a Matera), Annunziata Cazzetta (Sost. Proc. a Matera), Valeria Farina Valaori (Sost. Proc. a Matera) e Onorati Angelo (Giudice del Tribunale di Matera). Cosa resta di questo procedimento penale? Tutto, tranne che le iscrizioni nel registro generale delle notizie di reato. I fatti reato e le attività d'indagine svolte dagli inquirenti sono lì, evidenti e stampati nero su bianco. Le iscrizioni sono scomparse, ma non attraverso richieste di archiviazione e pronunciamenti del Gip. Sono sparite per strada, mentre quel procedimento, firmato De Tommasi, viaggiava ex art. 11 c.p.p. verso Salerno e poi, sempre ex art. 11 c.p.p., mentre tornava nuovamente a Catanzaro. Oggi resta solo l'abuso d'ufficio per quei 5 magistrati e il 23 gennaio 2012 il Gip di Catanzaro dovrà decidere se archiviare anche quello. Ma le scoperte e le inchieste degli attuali magistrati catanzaresi, dopo che i vertici di quella Procura sono stati trasferiti perché finiti sotto processo per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, disvelano e attualizzano quelle dimenticate ipotesi di reato.
di Nicola Piccenna



lunedì 31 ottobre 2011

Toghe lucane bis, ter, quater, quinquies, sexies, septies, octies, novies, decies ...qaudragies. Più di quaranta procedimenti penali a Catanzaro a carico di magistrati lucani: Vincenzo Tufano, Gaetano Bonomi, Modestino Roca, Giuseppe Galante, Giuseppe Chieco, Annunziata Cazzetta, Angelo Onorati, Rosanna Defraia...


I giornali l’hanno battezzata “Toghe Lucane bis” e non è dato sapere come l’abbiano chiamata i magistrati di Catanzaro, ammesso che abbia un nome proprio oltre al consueto numero procedimentale. Si sa, invece, che gli indagati sono alcuni personaggi apicali della magistratura lucana. Dalle reazioni decise del Dr. Bonomi, Sost. Proc. Gen. a Potenza, pare di comprendere che le ipotesi di reato per cui è indagato, insieme con sua Eccellenza Vincenzo Tufano (ex Proc. Gen.) ed altri sospettati di correità non debbano essere proprio “leggere”. E la pacificazione lucana di cui vagheggiava qualche voce illuminata va a farsi benedire. Sembra sia stata una iattura, tanti guai e situazioni imbarazzanti se non addirittura indecorose sono seguite ai proclami nostalgici per una Lucania Felix su cui si accanivano oscuri e maldicenti giustizialisti. Invece era tutto vero, tragicamente vero. Magistrati coinvolti in gravissime ipotesi di reato, politici che ignorano il bene comune arrivando a tollerare (loro dicono ignorare, ma si è scoperto che sapevano. Eccome! A partire da tal Santochirico Vincenzo, assessore all’ambiente che parla molto chiaro quando è al telefono con i suoi compagni di partito) pesanti emergenze ambientali, amministratori del denaro regionale che provocano ammanchi e disastri fallimentari (fra tutti citiamo il Consorzio Agrario amministrato dal signor Giuseppe Di Taranto, imputato a Catanzaro insieme ad altri 15 il prossimo 9 dicembre). E cosa dire della sanità in cui, fra tanti altri, il Dr. Vito Nicola Gaudiano, Direttore Generale della ASM di Matera, è indagato per una sequela di gravissimi reati e risponde in giudizio per altrettanti e (forse) ancor più gravi accuse? Basterebbe dire che ha ottenuto la propria nomina a Direttore Generale attraverso pratiche illecite per cui vi è processo: pratiche che De Filippo conosceva come tali avendone avuto notizia nientemeno che dall’Ufficio Legale della Regione Basilicata e di questo non può scaricare ad altri il bubbone. Bisognerebbe continuare con i disastri amministrativi in agricoltura: Arbea, Agrobios; nell’industria: bando Valbasento, bando Treviso, Felandina, Cerere- andoi-Barilla; nella gestione del petrolio: ancora oggi De Filippo non sa quanto petrolio si estrae. Ma tutto ha un denominatore comune: Toghe Lucane, che sia bis, ter, quater poco conta. Occorre chiarire quale ruolo hanno avuto i magistrati indagati in procedimenti che da quasi un decennio ne hanno documentato comportamenti, amicizie, frequentazioni ed attività non propriamente nobili e nemmeno edificanti. Per esempio, varrebbe la pena di conoscere che fine hanno fatto gli “oltre cento faldoni” del Proc. Pen. 10559 di Salerno (indagati Vincenzo Tufano, Annunziata Cazzetta Sost. Proc. a Matera; Angelo Onorati – giudice a Matera; Giuseppe Chieco – già Proc. Capo a Matera; Nicola Fucarino – Capo squadra mobile Matera; Farina Valaori – Sost. Proc. A Matera). Un PM di Salerno scriveva il 25/9/2008: “attualmente oltre 100 faldoni di documentazione sono provvisoriamente custoditi in un furgone presso il Comando Provinciale dei Carabinieri”. Quel PM venne trasferito “a razzo” e gli subentrò il Sost. Proc. Rocco Alfano che trasferì tutto a Catanzaro. Adesso in quel procedimento si vedono quattro faldoni numerati da 1 a 4. Viene da chiedersi dove sono finiti gli oltre 96 faldoni che mancano, dal contenuto (fortunatamente) noto almeno in parte. Si tratta dei tabulati telefonici degli indagati: chi chiamava chi nel pieno dell’inchiesta “Toghe Lucane”.
di Nicola Piccenna

sabato 24 settembre 2011

Toghe Lucane, quando il senatore Felice Belisario disse: “qualcosa di simile ad un Colpo di Stato”


Il diritto alla privacy, meglio sarebbe dire più italianamente alla riservatezza, è certamente un bene primario, indissociabile dallo stesso concetto di vivere civile. Ma questo sacrosanto diritto comporta un altrettanto pregnante dovere, quello di vivere la riservatezza con dignità morale e civismo etico. Ciò che rende poco dignitose certe abitudini non è il fatto che vengano conosciute attraverso le intercettazioni e disvelate da giornalisti dal dubbio gusto. Sono esse stesse, quelle abitudini, a suscitare vergogna e dispregio sociale. Così accade che nelle circa ventimila telefonate intercettate sulle utenze di alcuni giornalisti emergano giudizi e valutazioni degni di essere conosciuti poiché formulati da personaggi che ricoprono incarichi politici ovvero con importanti ruoli al servizio del vasto pubblico dei cittadini. Non si tratta di vicende scabrose e nemmeno di pettegolezzi pruriginosi, in 18.597 file audio nemmeno uno. Incredibile! Ebbene, iniziamo a guardare al lato utile delle intercettazioni che, per un verso, servono a dimostrare che l'indagato non solo è innocente ma addirittura rispettabile, dall'altro ci fanno conoscere cosa pensano e dicono alcuni maggiorenti della politica lucana. Iniziamo con Felice Belisario, esponente di punta dell'Italia dei Valori. La sua storia politica non brilla certo per i traguardi raggiunti per meriti elettivi, fatta eccezione per i tempi recenti dove l'intuito ed una legge elettorale indegna gli hanno consentito di giungere dove mai sarebbe giunto per effetto dei pochi voti personali che riesce a catalizzare. Nel 2007, e precisamente il 26 luglio, proprio nel giorno delle perquisizioni che la Procura di Matera disponeva a carico di 5 giornalisti ed un capitano dei carabinieri, Belisario si produsse in una analisi puntuale e rigorosa della gravissima situazione in cui versava la Giustizia in Italia ed in Basilicata. La riportiamo di seguito senza alcun commento, lasciando ai lettori giudicare quale considerazione si può riservare ad un uomo politico che nulla ha fatto per rimediare alle gravissime carenze che denuncia anzi che ha accolto a braccia aperte nell'IdV lucano Rosa Mastrosimone, pasionaria che difendeva a spada tratta il Ministro della Giustizia, Clemente Mastella, quando si dimise per protestare contro l'arresto di sua moglie, per cui venne chiesto il rinvio a giudizio accordato il 26 ottobre 2009 per tentata concussione. Una rispettabile donna, Mastrosimone, che in politica ha cambiato più di una casacca documentando come l'acchiappo dei voti è qualità preferibile alla coerenza politica ed al rigore delle idee. Proprio lo stesso stile del senatore Felice Belisario che ipse dixit: “Purtroppo la Procura della Repubblica di Matera sta commettendo degli errori su errori. Non so se in preda al panico, non se se in preda ad un po' di arroganza, non so per le pressioni che sta subendo. Non lo so qual è il disegno giudiziario della Procura di Matera e non mi interessa. Sotto il profilo politico io devo dire che vedo cose fuori dal mondo. Qualcosa di simile al Colpo di Stato perché Polizia Giudiziaria contro Polizia Giudiziaria. Procura di Matera, di fatto, contro la Procura di Catanzaro. Hai voglia a dire chiacchiere. Allora delle due l'una: o Catanzaro ha fatto una serie di errori incredibili e qualcuno lo dovrà pure dire, oppure Matera sta facendo degli errori straordinari e quella Procura va smantellata. O l'una o l'altra, non abbiamo una soluzione intermedia, una mediazione non c'è... Purtroppo è un periodo molto nero per la Basilicata, ce ne stiamo accorgendo in pochi, cioè vi è quella cupola che io ho denunciato a suo tempo che la vivevo. È una cupola precostituita, oppure si costituisce così, ci cala dall'alto. La verità è che qualcosa succede, perché mi pare veramente strampalato che una Procura della Repubblica stia cercando di fatto, secondo me, di sminuire il lavoro di Catanzaro.... Ma se Chieco, quando andai a dirgli io che c'è la mafia nel metapontino, mi rispose se ero pronto a fare un articolo di giornale così lui lo pigliava, io mi permisi di dire che un parlamentare della Repubblica che si muove per andare a parlare con lui per dirgli “vedi che nel metapontino ci sono problemi” e lui cade dalle nuvole, io non so che ci sta a fare un Procuratore della Repubblica a Matera! Stiamo tranquilli e che nessuno perda la calma. Alla fine ho fondati motivi di ritenere che gli errori verranno a galla. Su questo non ci piove”.

di Filippo de Lubac

giovedì 1 settembre 2011

Delitto di Cronaca - di Oliviero Beha


31 Agosto 2011 – pag. 18

il badante di Oliviero Beha

DELITTO DI CRONACA

Mentre leggete, viene tumulato – come detto qui ieri – Oreste Flamminii Minuto, principe del foro in materia di libertà di stampa. Vorrei dedicargli questa rubrica coinvolgendolo in un “a f fa re ” che di certo gli sarebbe piaciuto, e parecchio. Me lo immagino facilmente il 30 settembre prossimo in aula a Matera, nell’udienza preliminare, a sghignazzare difendendo un pugno di giornalisti e un comandante dei carabinieri in un processo che ha dell’incredibile. Stando alle carte, eh, per carità, lungi da me anticipare dubbi sull’estrema linearità e preparazione dei magistrati inquirenti e giudicanti… Ma quando leggo che uno dei processandi (un giornalista) si è visto contestare dal pm il reato di violenza fisica con l’uso delle armi (pag. 12 della richiesta di rinvio a giudizio) perché “in un articolo sfidava l’avv. Buccico a uno scontro fisico con l’uso di armi scrivendo: ‘Eh no, caro strenuo difensore, la battaglia deve essere ad armi pari. Coraggio, almeno per una volta, una sfida medioevale. Un cavallo a testa, una lancia e via’ ”, beh, quasi quasi sarei tentato di arrendermi. Il Buccico in questione è naturalmente l’inerme Nicola, senatore e sindaco di Matera. Le prove della diffamazione sarebbero gli articoli: dunque non basta già così? No, perquisizioni e intercettazioni per capire chi manovra questo manipolo di manigoldi, da dove prendano le fonti per notizie successivamente risultate vere e comunque soggette a un preciso articolo del codice, che non è esattamente quello dell’associazione a delinquere per diffamare a mezzo stampa. Si dice che ne uccida più la penna che la spada (e questa è la sostanza di tale processo secondo l’accusa), ma qui Oreste si sarebbe presentato in aula a cavallo dicendo che più che la penna è il ludibrio che polverizza la giustizia. Da queste righe, vi sarà evidente che non c’entra tanto il mio amico appena scomparso, maestro di vita e di pensiero e di libertà di stampa, quanto il rischio che corriamo un po’ tutti: siamo già immersi fino al collo nella palude di un’informazione schieratissima e insufficiente, figuriamoci se qualcuno gira la manovella per alzare il livello della fanghiglia così da far scomparire definitivamente la cronaca trasformandola in un “delitto”. Sto parlando del caso “Toghe lucane”, del processo a cinque giornalisti, appunto a Matera, tra cui Carlo Vulpio, del “Corriere della S e ra ” e Giovanni Carbone, di “Chi l’ha visto”, Raitre, oltre al Comandante della Compagnia dei Carabinieri di Policoro, del reato di associazione a delinquere per diffamare che francamente ha un che di inedito: qui si fanno le cose in grande, ne accadono di tutti i colori, viene normalizzata una situazione che rovescia la realtà e fuori provincia non se ne sa nulla o quasi .Quindi quello che più preoccupa è la sordina dell’informazione sui rischi che corre l’informazione stessa. È vero, la stampa sotto qualunque cielo e qualunque forma di governo, autoritaria e/o democratica che sia, ha un’importanza enorme ma anche una pari responsabilità: perché almeno in teoria io posso informare – che so – sulle mascalzonate di un politico e di un imprenditore o anche di un giudice mentre per loro è un poco più difficile replicare, e per le fasce più deboli (solitamente “carne da cannone” mediatica) praticamente impossibile. Ma se è la stessa informazione in loco che viene lasciata sola da un’informazione più vasta, da una cassa di risonanza maggiore “come se” quello che sta accadendo a Matera fosse cronaca locale? Come si difende l’informazione ristretta dalla mancanza di informazione nazionale? Ah, ci fosse ancora quell’avvocato lì, in partenza per Matera dove le parole invece che pietre sono diventate sassi.

mercoledì 24 agosto 2011

Ignora, Di Consoli: lettera aperta a Paride Leporace

Egregio direttore,
mi risolvo a scriverti questa lettera aperta dopo aver letto l'intervista pubblicata recentemente dal tuo giornale all'intellettuale lucano Andrea Di Consoli, giornalista e scrittore di fama. In origine, avevo in animo di confutare gran parte delle tesi sostenute da Andrea ma, procedendo, mi son reso conto che l'opera diventava monumentale e quindi inutile. Vedi, direttore, commentare Toghe Lucane non può prescindere dal conoscerla e “pacificare gli animi” non può risolversi nell'abusato “chi ha dato, ha dato; chi ha avuto, ha avuto”. Né può costituire valido supporto l'estrema sintesi che opera Andrea (e molti altri con lui) riducendo tutta quella ponderosa inchiesta fatta di duecentomila pagine, 118 faldoni e non ricordo più quanti CD al decreto di archiviazione. Veramente si pensa che qualcuno dotato di buonsenso possa accontentarsi di una archiviazione ottenuta dal PM Capomolla dopo aver smembrato l'inchiesta e distribuito gli atti d'indagine in procedimenti stralcio che ne hanno frantumato la logica e diluito la valenza probatoria? Non si tratta di esprimere opinioni, come se si parlasse della formazione dell'Italia Football Club, ma di prendere atto del giudizio che ne ha dato la Procura Generale di Catanzaro. Il PM Eugenio Facciolla si è spinto a scrivere che “il Giudice ha violato la Legge” quando ha archiviato lo stralcio “Marinagri” e su questa base ha proposto appello. No, Toghe Lucane non è del tutto “archiviata” ma, anche se così fosse, non si può lasciar credere a quei (troppo) pochi lucani che leggono i giornali che non vi fossero elementi ed evidenze degne almeno di giudizio politico che, come sostiene anche Di Consoli, è dovere formulare ed utilizzare per trarne conseguenze operative. Il “disastro Basilicata” ha precisi responsabili, nomi e cognomi che non possono passare alla storia come i migliori politici di questa martoriata regione. Dimentica (Di Consoli) gli slogan di recenti campagne elettorali? Chi crede che abbia inventato “Basilicata che bello!” oppure “La Basilicata che sa governare”. Chi crede che abbia inventato “Basilicata, isola felice”? Ignora (Di Consoli) che il Sost. Proc. Felicia Genovese è stato trasferito e destinato a funzioni collegiali perché non si astenne (come prevede la Legge) dal trattare vicende giudiziarie che riguardavano Filippo Bubbico ed altri assessori e funzionari regionali mentre il di lei marito (Dr. Cannizzaro) concorreva per la nomina a Direttore Generale del San Carlo? Ignora che il Sost. Proc. Felicia Genovese è stata trasferita perché omise di iscrivere nel registro degli indagati Giuseppe Labriola e ne ottenne in cambio il sostegno di Emilio Nicola Buccico, allora membro del CSM, per diventare consulente esterno della commissione antimafia? Ignora che quel PM omise di sequestrare, nonostante le istanze ed i solleciti della polizia inquirente, i vestiti sporchi del sangue di Danilo Restivo e di chissà cos'altro, ritardando di quasi vent'anni l'inchiesta sulla tragica morte di Elisa Claps? Ignora che Felicia Genovese e Michele Cannizzaro hanno querelato per diffamazione il giornalista che aveva raccontato della incompatibilità della prima a trattare vicende in cui aveva un ruolo non trascurabile il secondo ed hanno dovuto soccombere al lapidario giudizio del Gup Dr. Antonio Giglio: “...la notizia riportata dall'articolista era vera: la d.ssa Genovese si astenne “non prima ... di richiedere l'archiviazione del procedimento a carico dei datori di lavoro di suo marito e solo dopo il rigetto dell'archiviazione”. Molte altre cose, ignora Di Consoli ma ciò non toglie che possa stimare chi gli pare ed augurarsi quanto di meglio per le persone che più gli piacciono. Però l'informazione giornalistica è altra cosa dall'esprimere un giudizio o manifestare la propria opinione. L'informazione è raccontare fatti e rendere noti documenti che il lettore deve poter conoscere per formarsi una sua propria idea, nel caso di specie della Basilicata. Una terra ricca di risorse e povera di uomini coraggiosi. Dove l'amministrazione della giustizia è confusa con l'esercizio delle opinioni e la legalità si vuol far credere sia un'utopia da cavalieri un po' svitati. Fortunatamente, c'è qualcuno che resiste. Che paga un prezzo molto più alto di quello cui Andrea dichiara di essersi sottratto, ma che lo paga con levità, senza piagnucolii e martirologi. Perché una fondamentale verità esperienziale occorre tener presente prima di iniziare un'intrapresa: una vera battaglia comporta un vero prezzo da pagare. C'è spazio per tutti, ma solo a questa condizione. Il resto sono chiacchiere da bar o da intellettuali ateniesi. La rivoluzione dei vecchi: ma siamo completamente impazziti?

di Nicola Piccenna

lunedì 25 luglio 2011

C'è un Procuratore: Guglielmo Passacantando. C'è un (ex) magistrato: Alfonso Papa. C'è un senatore: Alberto Tedesco


C'è un sostituto in Cassazione che ha risolto un conflitto di competenza fra la Procura di Matera e quella di Catanzaro stabilendo che il procedimento deve restare ai magistrati materani. Ha emesso un apposito decreto in cui cita (sbagliando ma azzeccando in pieno) un procedimento penale in cui i suoi “colleghi” materani sono indagati per aver commesso un cumulo di abusi reiterati ed aggravati dal falso ideologico ed il mendacio in udienza. Questo magistrato, tale Guglielmo Passacantando, è ancora al suo posto come se nulla fosse, come se gli fosse stato contestata la scelta dei gusti di un gelato e non la flagranza del favoreggiamento a vantaggio di quattro o cinque magistrati che continuano, mentre scriviamo, a perpetrare quegli abusi che sin dal 2008 la Procura di Salerno aveva individuato ed iscritto nel registro delle notizie di reato.
C'è un ex magistrato che, essendo parlamentare, ha chiesto ai suoi colleghi di non votare l'autorizzazione alla custodia cautelare in carcere perché egli si ritiene innocente. È una gravissima presa in giro. Egli sa bene che l'unico motivo valido per opporsi al suo arresto sarebbe stato l'accertamento di una persecuzione politica. Il Parlamento non ha alcuna competenza per giudicare di innocenza o colpevolezza, la materia compete ai magistrati. Gli stessi che ritengono sussistere i requisiti per l'arresto. Alfonso Papa è stato arrestato, perché la Camera dei Deputati ha ritenuto che non vi fosse persecuzione politica all'origine della richiesta di arresto.
C'è un senatore che da trent'anni è nominato nelle inchieste giudiziarie che si occupano di corruttele nella sanità pugliese. Le prime notizie su Alberto Tedesco, percettore e collettore di tangenti, le fornì Francesco Cavallari al pool capeggiato da Alberto Maritati. Tedesco non venne nemmeno interrogato sulla questione. Sempre Alberto Maritati, scoprì che Massimo D'Alema era stato destinatario di almeno una dazione di denaro, ma non riuscì a perseguirlo prima che scattasse la prescrizione e, subito dopo entrò in politica. D'alema lo nominò sottosegretario ed oggi è ancora senatore, compagno di partito di Alberto Tedesco. Ci sono uomini che nascono con la camicia e Tedesco ne deve avere più d'una. Appena si seppe che era indagato, il partito lo elesse senatore e la richiesta d'arresto si bloccò davanti all'immunità. Martedì si è votato anche per l'autorizzazione all'arresto di Alberto Tedesco. A differenza di Alfonso Papa, Tedesco ha chiesto di votare concedendo l'autorizzazione e così ha dichiarato l'apparato del PD. Chiacchiere, tutte chiacchiere. Dall'urna è uscito un voto contrario. Alberto Tedesco continua a fare il senatore, continua a girare a piede libero e, chissà, magari andrà a visitare Alfonso Papa in carcere. Se non ci avesse presi in giro tutti, si sarebbe dimesso da senatore. Ma uno che l'ha fatta franca per trent'anni, uno che vanta fra i numi tutelari personaggi del calibro di Maritati e D'Alema, lo fate davvero così fesso?
C'è un avvocato che trent'anni fa organizzò una vasta campagna di delegittimazione del capitano dei carabinieri Salvino Paternò. Una raffica di querele bloccarono l'ufficiale costretto a difendersi nei tribunali militari ed ordinari. Poi si accertò che si trattava di querele false e calunniose. Gli stessi querelanti ammisero di aver firmato quello che veniva loro proposto da una ristrettissima cerchia di avvocati, tutti legati al nostro “dominus”. Paternò era già lontano, quando fu assolto. Per i calunniatori e gli istigatori nemmeno un interrogatorio, nulla. C'è un avvocato che venne denunciato con altri avvocati, magistrati e professionisti per una sequela di reati che spaziavano dallo spaccio di droga allo sfruttamento della prostituzione. Per molti di loro sorsero procedimenti penali che, con diverse motivazioni, sono stati definiti con provvedimenti di archiviazione. Ma il “dominus” non venne mai iscritto fra gli indagati. C'è un avvocato che oggi come allora, organizza campagne diffamatorie utilizzando ignari querelanti e magistrati accondiscendenti, con la finalità di impedire l'espressione delle opinioni ed il racconto dei fatti di pubblico interesse a lui sgraditi. Oggi come allora, si utilizzano metodi che a mente serena rientrerebbero nella metodologia mafiosa. Ma sereni i magistrati non sono, tanto da mentire spudoratamente persino durante le udienze e abusare palesemente dei propri uffici.
C'è un'Italia che non è nelle condizioni di sopportare ulteriormente il giogo dell'abuso e del sopruso, che ha gli uomini ed i mezzi per tornare a primeggiare nell'economia come nelle scienze. Un'Italia dove una casta incartapecorita è insopportabile a prescindere dal distintivo che esibisce sul bavero della giacca. Un'Italia in cui la Legge deve tornare ad essere uguale per tutti ed i magistrati devono tornare ad essere soggetti (solo) alla Legge. Dove un giovane deve poter competere fidando sulle proprie qualità e su quanto sa fare di buono professionalmente. C'è un'Italia diversa da quella che traspare dai parlamentari pronti a sostenere che Ruby Rubacuori è la nipote di Hosni Mubarak. Diversa da quella dove un pluripetente diventa consigliere regionale della regione locomotiva nazionale. C'è un'Italia che ha la fantasia, la tenacia, la forza, la bellezza, le risorse, la cultura per diventare il cuore pulsante dell'Europa.
Ci sono gli Italiani. Quelli che ancora leggono più di un giornale e non cercano scorciatoie. Quelli che non comprano i grattini e lavorano 12 ore al giorno. Che vivono, se sono fortunati, con un solo stipendio e non siedono in venti consigli di amministrazione, collegi sindacali o fondazioni miliardarie. Gli Italiani che non sono invidiosi di Berlusconi e provano pietà per i suoi vizi. Gli Italiani che non gradiscono le ovvietà di Napolitano e guardano con preoccupazione l'attivismo istituzionale di quel politico che c'ha messo cinquant'anni per capire che la Primavera di Praga era una cosa buona ed il comunismo una dittatura (ammesso che l'abbia capito davvero). Ci sono gli Italiani che faranno l'Italia, gli unici in grado di risollevarla. Purché ne abbiano coscienza e voglia e tempo e coraggio. Il tempo non è poi tanto! (dal settimanale “Buongiorno” del 23 lulgio 2011)

di Nicola Piccenna

sabato 16 luglio 2011

Passacantando o passascrivendo?

A cantare ci abbiamo provato, ma non passa. Vediamo se “passascrivendo”. È un sentimento di indignazione, di incredulità, di fastidio epidermico (persino), che non vuole andarsene. L'avvocato Bucicco si è sentito diffamato da 52 articoli pubblicati su un piccolo settimanale di provincia ed ha presentato 9 querele. In un colloquio con un alto magistrato il 16 gennaio 2007, disse: “ho fatto diciotto querele”. A quella data erano solo quattro, melius abundare, ma Buccico non è famoso per l'estrema accuratezza delle cose che racconta e nemmeno per l'aplomb anglosassone con cui affronta le critiche. Aveva anche detto che la registrazione di quel colloquio era illecita, ma anche questa affermazione è fallace. Quando cerca sponde o alleati veste i panni della vittima, del perseguitato e certamente tale si sente tanto s'immedesima nella parte. Così inizia una sequela di querele che ricalcano i canoni di un pianto greco: iniziato il 9.9.2006 e ripetuto il 14.10.2006, il 4.1.2007 (due volte nello stesso giorno ma i protocolli sono confusi), il 20.2.2007, il 27.2.2007, il 5.3.2007, il 2.4. 2007, il 5.4.2007. Dopo questa data, il PM Annunziata Cazzetta che ha preso a cuore le vicende di questi racconti che narrano di un Buccico sconosciuto, persino impaurito, lui che a vederlo sbraitare durante le udienze in Tribunale, sembrerebbe tutt'altro che indifeso e pauroso. Cazzetta si compenetra nelle doglianze e scrive: “di talché l'avv. Buccico viveva ogni settimana limitando i suoi movimenti nel timore di un successivo ulteriore articolo diffamatorio, che puntualmente arrivava”. Così, Annunziata Cazzetta, dopo aver accumulato nel suo cassetto querela su querela, il 3.5.2007 rompeva gli indugi e ne iscriveva sei tutte d'un colpo nell'apposito registro. Il codice di Procedura Penale (art. 335) dice che l'iscrizione deve avvenire immediatamente, appena si ha la notizia di un reato, ma Cazzetta di questi particolari non tiene conto. E altrettanto fa uno stuolo di magistrati che pur avendo accertato: “a parere dei PPMM, l'indagata (Annunziata Cazzetta, ndr) aveva l'obbligo di formulare al Capo dell'Ufficio istanza di astensione dallo svolgimento delle funzioni nell'ambito dei procedimenti che vedevano coinvolto il signor Omissis...” e che “in relazione alla violazione dell'obbligo di astensione ritiene, invece questa A.G. che la stessa effettivamente sussista”. Pur avendo chiaramente compresa la gravità delle azioni poste in essere da Annunziata Cazzetta la quale ha operato (ed opera tuttora) “intenzionalmente arrecando al signor Omissis e..” ad altri “un ingiusto danno, derivante dall'aver subito atti investigativi illegittimi invasivi della loro sfera di libertà personale (perquisizione e sequestro eseguiti il 26.7.2007 e attività di intercettazione telefoniche sulle utenze a loro in uso dal 17.5.2007 al 24.12.2007), nonché dall'essere sottoposti a procedimento penale innanzi ad un'Autorità Giudiziaria funzionalmente incompetente. La CAZZETTA avrebbe, inoltre, agito anche in violazione dell'obbligo di astenersi, sussistendo una situazione di grave inimicizia tra la stessa e uno degli indagati, signor Omissis, verso il quale aveva sporto denuncia-querela alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro per il reato di cui agli artt. 595 c.p. e 13 della Legge n. 47/194, in relazione ad un articolo pubblicato su “il Resto” del tutto simile a quelli oggetto delle denunzie del BUCCICO, già in data 26 marzo 2007 (con successiva integrazione del 30 marzo 2007) (p.p. n. 1083/07/21) e quindi un mese prima dell'iscrizione del signor Omissis nel R.G.N.R., nonché in data 12 ottobre 2007 (p.p. n. 953/08/21), in tal modo negando a quest'ultimo il diritto ad avere indagini preliminari svolte sotto la direzione di un pubblico ministero imparziale ai sensi degli artt. 97 Cost. e 358 c.p.p.”; nulla hanno posto in essere per impedirle di continuare nell'abuso. Ma non era ancora sufficiente tutto questo, occorreva un surplus di abuso. Un abuso sull'abuso. Ed eccolo servito. Guglielmo Passacantando, Sost. Proc. Gen. Presso la Supr. Corte di Cass. (se lo stipendio aumenta con la lunghezza del titolo è da invidiare), viene interessato da Annunziata Cazzetta che si oppone al passaggio del procedimento a carico del signor Omissis alla Procura di Catanzaro. Ed in venti giorni risponde e le da ragione. Tutti gli abusi di cui avevano scritto Luigi de Magistris, Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani, Rocco Alfano, Minerva, Petrolo, Dominijanni, Villani, Borrelli e Lombardi, per citare i primi dieci magistrati che balzano alla mente e non sono tutti, vanno a farsi benedire perché Passacantando conosce due sentenze della Suprema Corte di Cassazione che, a suo dire, avallano il suo decreto. Già, Guglielmo Passacantando che è stato nominato Sost. Proc. Gen. eccetera con il voto di Nicola Buccico (all'epoca nel CSM) e che cita due sentenze in cui Buccico è persona offesa (per una) e difensore (per l'altra). In cui (l'una), con un unicum nella consuetudine giurisprudenziale italiana, la Suprema Corte al nome di Nicola Buccico aggiunge l'appellativo: “strenuo difensore della legalità”. Con ciò precostituendo un giudizio che, a parere di alcuni, renderebbe nulla la sentenza medesima. Come se dopo il nome di un imputato, in una sentenza qualsiasi, si scrivesse “noto farabutto”! Figuriamoci in Cassazione. Eppure è accaduto.

venerdì 1 aprile 2011

HANNO

Hanno costruito un villaggio alla foce di un fiume: Parte su terreno demaniale inalienabile e parte su terreni espropriati per costruirci uno stabilimento d'inscatolamento del pesce; parte su terreni dichiarati di proprietà, anche se non era vero; parte su terreni acquisiti in seguito ad un'alluvione (avvenuta vent'anni prima che i terreni confinanti fossero acquistati). L'hanno costruito ricevendo un finanziamento di alcune decine di miliardi di lire dallo Stato e sulla scrivania del dirigente che firmava l'ok ai pagamenti c'era il contratto d'acquisto di una villetta con posto barca proprio in “quel” villaggio. Un amministratore che pure risultava fra gli aspiranti acquirenti di un siffatto “posto al sole”, aveva spiegato di avervi rinunciato perché fuori delle sue disponibilità; salvo poi scoprire che la villa era intestata al giovanissimo figliuolo. Hanno minacciato due ufficiali dei Carabinieri, intimando loro di modificare le dichiarazioni rese in un complesso procedimento penale. Quando i malcapitati si sono rifiutati di mentire, li hanno trasferiti e se ne sono compiaciuti al telefono. Hanno minacciato un PM tentando di impedirgli di esercitare le indagini a carico di amministratori amici degli amici. Hanno intascato soldi concessi a tassi irrisori in cui la banca ci rimetteva e, contemporaneamente, gestivano i processi in cui la banca era parte in causa. Hanno acquistato e/o provato ad acquistare immobili dagli indagati dei loro stessi uffici. Hanno omesso di esercitare l'azione penale e mentito sulle risultanze delle indagini svolte dalla Polizia Giudiziaria. Hanno indagato e denunciato il magistrato e gli agenti di polizia giudiziaria che indagavano su di loro. Hanno rivelato atti coperti dal segreto istruttorio. Hanno evitato di astenersi anche quando ragioni di opportunità avrebbero voluto il contrario. Hanno mentito e dichiarato false circostanze di cui è stato possibile documentare la diversa e reale consistenza. Tutti questi ed altri ancora sono i fatti cui la Legge vigente attribuisce valenza di reato e che sono stati accertati e documentati nell'inchiesta “Toghe Lucane”. Leggendo gli atti d'indagine (è possibile prenotare presso l'edicola il cd contenente la chiusura delle indagini, il verbale finale della GdF di Catanzaro, la richiesta di archiviazione ed il relativo decreto) si scoprono i nomi e le circostanze. Ecco emergerà chi deve chiedere scusa, chi deve vergognarsi e chi dovrà rispondere penalmente. Prima o poi!

domenica 27 marzo 2011

MI VERGOGNO

Sì, mi vergogno. Gli inviti sono venuti da più parti dopo l'archiviazione di “Toghe Lucane”. Nessuno proprio esplicito ma contavano sulla mia perspicacia. E contavano giusto. Mi vergogno profondamente di essere andato a Catanzaro esattamente otto anni fa. Di aver denunciato un magistrato (Iside Granese) che aveva dichiarato il fallimento dell'azienda di cui ero presidente per un “imprecisato residuo debito”, cosa accertata e definita illegittima dalla GdF di Catanzaro, oltre che dalla legge fallimentare italiana. Mi vergogno per aver denunciato quel magistrato che aveva anche beneficiato di un mutuo a tasso così basso che la banca ci rimetteva. Di aver denunciato che un altro magistrato (Giuseppe Chieco) si faceva accompagnare dal maresciallo dei carabinieri (con l'auto di servizio) per acquistare una stampante ad uso personale. Di aver fornito la copia dell'atto preliminare in cui lo stesso magistrato acquistava la villa a mare da un suo indagato. Mi vergogno di aver portato a Catanzaro il telegramma con cui Vitale ingiungeva a Bubbico di non pubblicare il piano di bacino che individuava “Marinagri” nell'area a rischio esondazione e gli atti con cui, in pochi giorni, docenti universitari e funzionari regionali modificavano quel piano ritagliando l'area occupata da “Marinagri” e ponendola fuori dalla zona in cui vigeva l'assoluto divieto di edificabilità. Mi vergogno di aver trovato le fatture con cui Bubbico si riprendeva il 75% degli affidamenti di progettazione per gli impianti di gelsibachicoltura che il consorzio da lui presieduto (e finanziato con fondi europei) pagava ad un agronomo. Mi vergogno di aver fotografato quegli impianti che non hanno prodotto nemmeno una camicetta di seta. Mi vergogno di aver consegnato a De Magistris il verbale delle dichiarazioni rese da Francesco Cavallari a Giuseppe Chieco e Alberto Maritati presso la Procura di Bari e firmato dai citati con tanto di data ed ora. Le stesse (data ed ora) in cui Cavallari veniva interrogato a Potenza in presenza di due ufficiali di PG, due magistrati ed il suo avvocato. Mi vergogno di aver percorso almeno centocinquanta volte la strada da Matera a Catanzaro per fornire documenti, dichiarazioni e rendere interrogatori tutti puntualmente riscontrati.
Di aver fondato un giornale. Di aver scritto 1400 articoli precisi e documentati, tanto che tutte le querele per diffamazione che ho dovuto subire e che sono state definite mi hanno visto prosciolto e/o assolto. Mi vergogno di aver investito tanto tempo e denaro sottratti alla mia vita ed a quella della mia famiglia. Mi vergogno di aver denunciato la disaggregazione e riaggregazione degli atti di Toghe Lucane, finalizzata a smembrare l'inchiesta e rendere percorribile l'insostenibilità dell'accusa in giudizio. Parere di cui deve vergognarsi anche un sostituto procuratore generale di Catanzaro che ne ha scritto negli stessi termini nel ricorso in appello contro l'assoluzione per alcuni reati contestati a “Marinagri”. Mi vergogno di aver sentito Nicola Mancino (vice presidente del CSM) confabulare in aereo di De Magistris e di averlo riferito all'autorità giudiziaria. Mi vergogno di aver querelato Chieco per aver riferito al contrario le risultanze della GdF di Matera nell'inchiesta sulla “Cartolarizzazione Mutina”. Mi vergogno di aver denunciato Salvatore Curcio e Salvatore Murone che hanno iscritto quella denuncia contro ignoti facendola archiviare. Mi vergogno di tante simili azioni e mi vergogno di aver consigliato agli amici ed alle persone che mi chiedevano come regolarsi in vicende simili di rivolgersi alla magistratura, di fidarsi dell'amministrazione della giustizia. Mi vergogno di aver subito una perquisizione domiciliare e di averne causato un'altra ai miei genitori per aver usato una metafora, e mi vergogno di essere ancora sospettato di violenza privata con l'uso delle armi per quella frase di cinque anni fa. Mi vergogno di aver consegnato numerose querele al capitano dei carabinieri Pasquale Zacheo, nella sua veste di pubblico ufficiale, facendolo apparire come mio complice e capo di associazione per delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa. Mi vergogno di aver scambiato notizie, tutte rivelatesi vere e tutte non coperte da segreto istruttorio con Carlo Vulpio e Gianloreto Carbone che sono sospettati di essersi associati nella “mia” associazione per delinquere alcuni mesi prima che ci conoscessimo. Mi vergogno di aver scritto che un magistrato che sequestra il materiale che è stato appena sequestrato a lui stesso durante una perquisizione domiciliare commette un grave abuso. Mi vergogno di aver denunciato il CSM che decise di trasferire Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani, Luigi Apicella quando emerse che le inchieste dei tre magistrati salernitani avevano superato tutti i gradi di giustizia cui erano stati sottoposti e per i magistrati da loro indagati venne disposto il rinvio a giudizio. E mi vergogno di avere solo duecento lettori nonostante quelli che mi spronano a tenere duro sono almeno il doppio. Mi vergogno di tutto questo e di molto altro. Ora saranno contenti i magistrati, gli amministratori di condomini, gli avvocati, i medici ed i politici che avevano chiesto cotanto gesto. Saranno contenti quei lucani che incontro e che mi manifestano tutto il loro appoggio “virtuale”, privo di concretezza e sostanza. Tutti quei lucani che non spendono un euro (anzi due) per comprare questo giornale ma pontificano di come bisognerebbe combattere il malaffare in Basilicata e nel mondo intero. Poi tornano a casa e si mettono in pantofole esclamando: “che giornataccia”! Ma io, quando incontro siffatti magistrati, politici, avvocati e amministratori di condomini, li posso guardare in faccia; e con me pochi altri in lucania. Tutto il resto “ha gli occhi scaltri a fuggire”. E pure il cuore. Pavido com'è. (Tratto dal settimanale "Buongiorno" del 26 marzo 2011)
di Nicola Piccenna

giovedì 24 marzo 2011

IL EST TOMBE'

“Toghe Lucane” est tombé, che poi significa “è caduto” e non “è seppellito” come qualcuno (per assonanza) potrebbe immaginare. Il Giudice per le Indagini Preliminari di Catanzaro, d.ssa Maria Rosaria di Girolamo, ha disposto l'archiviazione del procedimento penale n. 3750/03 mod. 21, altrimenti noto come “Toghe Lucane”, il diciannove marzo scorso. Se è consentita una sintesi estrema, l'archiviazione è fondata sull'inidoneità delle risultanze delle indagini a sostenere l'accusa in giudizio. Carenza di elementi idonei, si dice tecnicamente. Duecentomila pagine di documenti, perizie, testimonianze, intercettazioni telefoniche, tabulati bancari, pronunciamenti del CSM, ispezioni ministeriali, non sono sufficienti per svolgere un processo. Come si comprende, senza bisogno di conoscere i rudimenti del diritto, è altra cosa dal dichiarare che tutti sono santi. Conoscendoli (quei rudimenti), invece, desta preoccupazione la serie d'invettive piovute contro i “responsabili” di non meglio precisati abusi, diffamazioni e falsità. Solo il signor Maurizio Gasparri, oltre alle generiche minacce verso imprecisati giornalisti, ha scritto “non finisce qui” in chiusura di un comunicato ufficiale in cui indicava un solo nome e cognome precisi: Carlo Vulpio. Non ci risulta che il signor Vulpio abbia sulla fedina penale reati di qualsivoglia natura. Né che abbia mai svolto con leggerezza o superficialità il lavoro di cronista per la prestigiosa testata giornalistica per cui scrive. Non ci risulta che alcuno abbia inteso difendere questo signore, tace il Corriere della Sera, tace l'Ordine dei Giornalisti cui il Gasparri pur appartiene, tace la Federazione Nazionale della Stampa. Non ci risulta, per la verità, che il signor Vulpio abbia bisogno di difensori. Ma noi, non essendo di alcun “peso”, nemmeno tali possiamo ritenerci. Solo, volevamo testimoniare a Gasparri ed a tutti gli altri, che esiste una libera informazione ed esistono uomini liberi e continueranno ad esistere ed a rialzarsi ogni volta che cadranno. Anche se lo sgambetto arriva da un magistrato o da un ex ministro. Non finisce qui, è proprio vero. (seguito ed approfondimenti sul settimanale "Buongiorno" nelle edicole di Matera, Policoro e Potenza dal 26 marzo 2011)

sabato 19 febbraio 2011

PROCESSO IMMEDIATO ovvero Noi Cittadini di serie B



Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla Legge, lo stabilisce e garantisce la nostra Costituzione. Ma la Legge non è uguale per tutti. Infatti, coloro che la Legge devono solo applicarla, a volte, dimenticano di esserne soggetti e finiscono per interpretarla a loro piacimento rivendicando una presunta insindacabilità dell'operato che li pone al di sopra della Legge, della Costituzione e, quindi, dello Stato. Veniamo agli esempi concreti. Silvio Berlusconi è stato indagato per gravi reati, tanto gravi da richiedere misure invasive della libertà personale quali: intercettazioni, perquisizioni e sequestri. Tempo un mese e i solerti magistrati hanno chiesto ed ottenuto il processo immediato fissato per i primi di aprile. Quattro anni fa, quattro giornalisti, un editore ed un capitano dei Carabinieri furono oggetto di perquisizioni e sequestro di documenti e computer sia presso le loro abitazioni che nelle redazioni delle testate giornalistiche. Nemmeno la Caserma dei Carabinieri venne risparmiata dalla Polizia Giudiziaria agli ordini del PM, tanto erano gravi le ipotesi di reato perseguite. Mesi di intercettazioni telefoniche delle utenze dei giornalisti e del carabiniere. Anche le conversazioni di servizio e quelle in cui l'ufficiale riceveva disposizioni sulle indagini da compiere a carico degli stessi magistrati che decidevano e ascoltavano proprio quelle telefonate. L'ultima proroga delle indagini preliminari è scaduta il 31 gennaio 2009, due anni fa. Ma del processo, ovvero dell'atto di chiusura delle indagini, nemmeno l'ombra. In questi casi la Legge prevede che il Procuratore Generale disponga l'avocazione, ma il magistrato ha rigettato le richieste in tal senso e gli organismi di vigilanza e controllo (CSM, Ministero, Procura della Cassazione, Presidente della Repubblica), formalmente interessati, tacciono. È troppo chiedere lo stesso trattamento (celere) e la stessa attenzione (quotidiana) riservato a Presidente del Consiglio? Personaggi ed interpreti: Annunziata Cazzetta (PM - Mt); Massimo Lucianetti (Proc. Gen. - Pz); Pasquale Zacheo - Capitano CC; Carlo Vulpio, Gianloreto Carbone, Nino Grilli, Nicola Piccenna - giornalisti; Emanuele Grilli – editore (indagati). (tratto da "Buongiorno" pubblicazione settimanale della testata "Giornale della Sera" del 19 Feb 2011)


La casta è un sistema di stratificazione gerarchica della società. Le caste influiscono anche sulla suddivisione del lavoro, diversificando quindi lo stato sociale di ogni cultura. Il sistema della caste trovò una giustificazione religiosa nel primo dei testi sacri dell’induismo, il Rig Veda, e fu poi riaffermata nella Bhagavad-Gita, che indica come via per accedere a una condizione migliore nella successiva incarnazione, se si obbedisce alle regole della propria casta. Inizialmente le caste erano quattro: kshatriya (il re e i guerrieri), brahmani (sacerdoti), vaishya (agricoltori e mercanti) e shudra (servi); ma con l’emergere di nuove attività e gruppi sociali il sistema subì un’evoluzione e si sviluppò una serie di sottocaste o jati. Ogni casta ha il proprio dharma, ossia una serie di doveri da compiere. Si tratta perlopiù di preghiere, di servizio nei confronti della comunità, di dominio delle proprie passioni. Secondo le dottrine induiste, la casta nella quale un individuo nasce è il risultato delle sue azioni in una vita precedente. In questa visione le ineguaglianze fra gli uomini sono quindi motivate da azioni passate, ed hanno del resto un valore provvisorio, valgono cioè fino alla morte dell'individuo e alla sua successiva reincarnazione. Al di fuori delle dette classi vi sono i Paria, essi sono i fuori casta, cioè gli infimi tra gli infimi. Adesso è tutto più chiaro. Hanno ragione i Napolitano, i Violante & C., ad invitarci alla moderazione, ai toni morbidi. Noi che siamo Paria per qualcosa che abbiamo fatto in una vita precedente (e quindi ce lo siamo meritato) dobbiamo solo compiere i doveri del nostro dharma, aspettare la morte e nella prossima vita... saranno c... loro! Ma un piccolo anticipo già in questa (vita), magari, ci starebbe tutto. (tratto da "Buongiorno" pubblicazione settimanale della testata "Giornale della Sera" del 19 Feb 2011)

giovedì 3 febbraio 2011

Messico e nuvole

Il Messico non c'entra, le nuvole sì. O, forse, è il contrario. Il fatto è che c'è una gran confusione in giro ed ogni volta, prima di avviare una qualsiasi discussione o formulare un intervento occorre stabilire una base di vocaboli cui si conferisce un significato comune e condiviso. Figurarsi se si affrontano questioni, come dire, intrinsecamente impegnative quali la verità, la lealtà, la libertà. E giù con gli esempi, le domande ed i dogmi. Non certo quelli di fede che sono così chiari e precisi da non ammettere equivoci, se non quelli voluti o creati ad arte. Il 14 ottobre 2005, questa testata pubblicò un numero completamente bianco, una bianca lapide muta alla scomparsa della libertà di stampa. Allora vi erano state pressioni e tentativi di mettere a tacere questa voce. Prove tecniche di censura giudiziaria che, per la verità, sono continuate, si sono intensificate e precisate in modalità e toni che mai avremmo immaginato e che, ad onor del vero, nemmeno i Codici avevano (ed hanno) previsto. Ma siamo ancora qui e la cosa è di per sé positiva, nonostante il prezzo pagato e quello che siamo chiamati a pagare ancora. Libertà: quella cosa che se la eserciti devi necessariamente pagarne il prezzo. Siamo tanto lontani dall'idea del sacrificio, dalla possibilità (necessità) di rinunciare a qualcosa per restare liberi da arrivare all'auto censura. “La libertà, Sancho, è uno dei doni più preziosi che i cieli abbiano concesso agli uomini: i tesori tutti che si trovano in terra o che stanno ricoperti dal mare non le si possono eguagliare: e per la libertà, come per l’onore, si può avventurare la vita” (Don Quijote de la Mancha - Miguel de Cervantes). Messico o nuvole, poco importa. Per la libertà, come per l'onore, si può avventurare la vita. (da "Buongiorno" di Filippo de Lubac)

La vita che non c’è del ragionier ‘Spino’

È da 30 anni che il ragionier Giuseppe Spinelli contabilizza vite non sue, parla con femmine che non conosce, gestisce ville dove non è mai stato, riceve dozzine di messaggini da bimbe che non gli chiedono mai “Ragioniere come sta?”, ma solo “Quando, quanto?” e al massimo gli concedono la piccola delizia di certi diminutivi, tipo Spin, Spino, Spinaus. Due volte al mese entra nella filiale del Monte dei Paschi di Milano 2 e ne esce con “il cappotto foderato di denaro” (Ruby dixit) da 500 a 800 mila euro in contanti. Che non sono mai per lui, ma per il Dottore, cioè il Presidente, cioè il titolare della sua puntigliosa aritmetica. Di lui non esistono foto, né (quasi) interviste. Si sa che sta per compiere 70 anni, è nato a Settala, vive a Bresso. Ha avuto inconvenienti con la giustizia per abusi edilizi, mai compiuti da lui, né per suoi vantaggi. Ne è uscito con batterie di avvocati non suoi. Perché anche i guai e la soluzione dei guai sono sempre il riverbero di chi gli paga i gesti, i sogni e il destino. Ha una moglie, che in questi giorni concitati ha morso un paio di cronisti ficcanaso: “Andate via, mio marito non c’è”. Suo marito (invece) c’è sempre. È la sua vita che da 30 non c’è più. (Il Fatto Quotidiano, 3 febbraio 2011)

giovedì 27 gennaio 2011

Cuffaro, una lezione di civismo (e di dignità)

Salvatore Cuffaro, beffardamente ribattezzato Totò Vasa-Vasa, ci ha dato una lezione. E che lezione! Era dai tempi del Presidente della Repubblica Giovanni Leone, dimessosi appena venne attinto da un procedimento penale per sospetta corruzione (da cui poi fu prosciolto), che non si assisteva ad una lezione di rispetto istituzionale e costituzionale di questa portata. Anzi, forse, la lezione che arriva da Cuffaro è anche più importante. In un clima politico in cui il capo del Governo minaccia i PM che indagano su di lui. In un momento storico in cui il conflitto di competenza invece che rimandato alla (legittima ed unica) competenza del tribunale, viene risolto dall’imputato e dai suoi avvocati con decisione inappellabile quanto incostituzionale. Quando il quadro istituzionale vede al vertice del Governo un uomo indagato per sfruttamento della prostituzione minorile. È davvero una sorpresa che un uomo potente, già Presidente della Regione Sicilia e Senatore della Repubblica Italiana, affermi che accetta la condanna e si consegna alla detenzione carceraria in ossequio alle istituzioni che ha servito. Una sorpresa ed un insegnamento, certamente da una persona che non ha da trarne vantaggio e che avrebbe ben potuto buttarla in teorie complottiste. Invece eccolo lì, con un filo di voce e qualche incertezza come se sapesse di pronunciare parole storiche, che si presenta ai carabinieri per essere arrestato e portato in carcere. La notizia vera è questa. Il resto, le accuse (e la condanna) per aver favorito alcuni mafiosi, improvvisamente, passano in secondo piano. Prevale l’uomo, l’insegnamento utile ai propri figli ma anche a tanti figli di... che albergano nei palazzi della politica. (tratto dal settimanale "Buongiorno" del 29 gennaio 2011)

sabato 22 gennaio 2011

SILVIO, AD-DIO!

(tratto dal settimanale "Buongiorno" in edicola a Matera Sabato 22 Gennaio 2011)


Finisce una storia, è inutile e persino patetico tentare di non leggere il dato. Assistiamo alla fine della storia di un uomo segnato dagli anni e da qualche disturbo patologico della personalità che non può cancellare il posto di rilievo che si è meritato nella storia d'Italia per quanto ha fatto. La corte dei fedelissimi ripete frasi senza senso compiuto o, comunque, del tutto avulse dalla realtà.

Cav. Silvio Berlusconi
È come tentare di fermare un treno soffiando contro la locomotiva. Risparmiategli almeno le ultime, umilianti, esternazioni. Voi che non gli avete risparmiato la discesa sino agli infimi anelli della considerazione di sé. Voi che dite di essergli amici ma niente fate per alleggerire il peso della solitudine che traspare dallo sguardo stanco di quest'uomo. Un dato, almeno uno, possiamo cogliere e persino apprezzare di Silvio Berlusconi: il desiderio di felicità. Anche le nefandezze più basse, chissà quante simili nelle nostre vite così “normali”, altro non sono che domanda, richiesta, desiderio. Bisognava dirgli, spiegargli, quale è la direzione cui indirizzare questa ricerca. Occorreva testimoniargli Chi risponde davvero a questo desiderio, invece che strappargli un pezzo, piccolo o grande, di potere. Ci voleva qualcuno che gli volesse davvero bene. Cosa ve ne fate, adesso, di quel potere? Cosa ne avete fatto dei talenti che avevate in dote? Come se il destino buono non fosse di tutti e per tutti, come se alcuni fossero semplice strumento amorfo e non avessero un destino di felicità per sé stessi e il loro destino non ci stesse a cuore come quello di noi stessi. Come se una scelta a priori li sottraesse alla libertà di scegliere. C'è una possibilità, c'è sempre la possibilità di guardare e di chiedere e di ottenere molto di più di quanto si è meritato e, persino, di quanto si spera. Silvio ad-Dio! (di Bianca Novelli)

venerdì 7 gennaio 2011

Tardes de mantillas y claveles



In redazione giungono decine di segnalazioni, esposti, intenzioni (ed a volte finanche) querele e, negli incontri seguiti alla pubblicazione del primo numero di questo settimanale, frequente arriva l'incitamento alla carica a testa bassa contro questo o quel maggiorente o (presunto) potente di turno. La sensazione che si prova, vi assicuro, è di mesto sconforto. Deve essere pressappoco quella del toro quando gli sventolano davanti la mantillas e si arrende al destino iniziando l'ultima carica dell'ultimo pomeriggio della sua vita. E forse un giorno ci arrenderemo e partiremo anche noi, incuranti delle banderillas, per l'ultima carica. Ma oggi no! Abbiamo ancora fiducia e sufficiente conforto negli amici e nella fede. Forse non siamo stati chiari, forse i più non vogliono capire, forse occorre dirlo e ripeterlo ancora: “questo è un giornale, non un tribunale o una questura”. Da noi si deve chiedere (pretendere) informazione, non giustizia. Noi possiamo (dobbiamo) criticare non emettere sentenze. Noi siamo abilitati ad indagare, non a processare. La giustizia, le sentenze, i processi, quelli li dovete pretendere dalle Procure, dai Giudici, dai Tribunali. Il giornale può esporre le vostre ragioni e non la vostra difesa, questa va concordata e pretesa dal vostro avvocato. Noi siamo solo giornalisti, non fateci compiere passi su terreni non nostri, non mandateci allo sbaraglio. Là dove saremmo trafitti dallo stiletto del matador professionista, fra gli applausi della folla che, ne siamo certi, vi vedrà spettatori (paganti ) e magari, infine, plaudenti anche se solo per pavidità. Pochi (ma buoni) fra coloro che ci testimoniano stima e condivisione hanno sottoscritto l'abbonamento o inviato concreto sostegno al giornale. Occorre prenderne atto ed attrezzarsi per resistere in un'impresa difficile ma irrinunciabile. Del resto sapevamo in partenza che non partivamo per una gita nei boschi. Non è ancora spuntata l'alba dell'ultima “tarde”, mantillas e claveles non fanno parte della nostra cultura. Noi preferiamo lancia e cavallo ed attendiamo che ci processino per questi, giacché le indagini sono terminate da 2 anni. (Il Direttore)


Celestina Gravina, Procuratore Capo a Matera


Irripetibili epiteti, giungono in redazione, con lettere rigorosamente anonime, all'indirizzo del nuovo Procuratore Capo presso il Tribunale di Matera: D.ssa Celestina Gravina. Non meritano (né potrebbero) avere alcuno spazio. Occorre, tuttavia, imporre un metodo di lavoro che introduca al corretto metro di giudizio. Lamentano, molti, che il nuovo procuratore abbia partecipato alla presentazione di un libro dell'On. Giuseppe Ayala circondata da relatori di un preciso schieramento politico (Pd) e rilanciano con l'imminente (prevista) presenza dell'alto magistrato fra i relatori, alla presentazione di un altro libro, con l'avv. Emilio Nicola Buccico. Le lagnanze sono costruite su presupposti di dietrologia complottista che affliggono la società materana in misura ancora maggiore, se possibile, di quanto non accada abitualmente nella penisola italica. Solo perché siederanno allo stesso tavolo per qualche ora, si sancirebbe un sodalizio che ripercorre la trista frequentazione fra Buccico ed il predecessore della D.ssa Gravina, il Dr. Giuseppe Chieco (ancora oggi alle attenzioni dei magistrati di Catanzaro, pendente l'opposizione all'archiviazione nel procedimento che vede i due indagati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari). Le persone si giudicano dai fatti e dagli atti che pongono in essere: mai nel computer personale della D.ssa Gravina troveremo il file originale di una denuncia querela dell'avv. Buccico (come accadde per il Dr. Chieco). Mai vedremo nei corridoi del Palazzo di Giustizia, l'avv. Buccico appoggiare la mano sulla spalla della D.ssa Gravina come suole fare (negli ultimi tempi più raramente) con alcuni magistrati. Mai accadrà che Buccico, un suo assistito e la D.ssa Gravina andranno dal GIP per discutere un dissequestro (come accadde con Chieco dal Gip Angelo Onorati). Mai Buccico potrà promettere alla D.ssa Gravina la nomina a consulente dell'antimafia in cambio di una mancata iscrizione nel registro degli indagati di un suo allievo (come accadde con la D.ssa Felicia Genovese a “protezione” dell'avv. Labriola). Sono solo alcuni dei fatti incredibili, gravissimi, esecrabili che hanno mostrato comportamenti disinvolti e censurabili tanto da meritare l'adozione di procedimenti disciplinari e l'avvio di indagini penali. Lasciamo lavorare in pace la D.ssa Celestina Gravina, ha la responsabilità di una Procura difficile ma anche la tempra e l'esperienza per fare bene. (di Nicola Piccenna)