mercoledì 27 novembre 2013

Lettera aperta all'Ordine dei Giornalisti ed ai Giornalisti figli di un dio minore


Lettera aperta all'Ordine dei Giornalisti
ed ai Giornalisti figli di un dio minore

Egregio Presidente del Consiglio dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti, Enzo Iacopino,
Egregio Presidente del Consiglio dell'Ordine Regionale dei Giornalisti, Mimmo Sammartino,
Stimati Colleghi,
la sentenza di primo grado che ci condanna alla reclusione ed all'ammenda per diffamazione a mezzo stampa costituisce, a nostro avviso, una questione molto seria da affrontare e giudicare. Non si tratta di “tirare dentro” nostre vicende personali (tali sono le responsabilità penali e tali devono restare) i colleghi e l'Ordine dei Giornalisti.
Ci siamo sempre difesi da soli, con l'aiuto determinante dell'impareggiabile avvocato Leonardo Pinto (che ci difende gratis, diversamente avremmo dovuto ricorrere all'avvocato d'ufficio poiché, come ben sapete, di giornalismo difficilmente si vive e noi stessi abbiamo scelto di scrivere senza alcun compenso) e di una pattuglia di altri professionisti che, come lui, ha scelto di sostenere un ideale e non solo degli imputati. Cito fra tutti l'avv. Alessandro Sisto e l'avv. Franco Iuele. Da soli continueremo a difenderci, negli oltre cento procedimenti penali che ci hanno visto indagati, imputati, persone offese o parti civili. Solo la settimana prossima, abbiamo tre udienze a Catanzaro il 4, 5 e 6 dicembre ed una a Roma, il 7 dicembre. E pensare che non possiamo portare in parlamento nessuno dei nostri avvocati, sic!
Non vi chiediamo, quindi, di difenderci e non riteniamo nemmeno opportuno che assumiate posizioni di sostegno di categoria. Non si può e non si deve generalizzare mai, nessuno è innocente o colpevole a priori, perché è “dei nostri” o “dei loro”.
Meno ancora, gradiremmo che si manifestassero posizioni “garantiste”, del tipo “è solo il primo grado, quindi sono innocenti sino alla sentenza passata in giudicato”. La diffamazione è un reato grave e, per un giornalista, il solo fatto che si possa sussurrare “è un diffamatore”, come fanno da qualche giorno alcuni personaggi da sempre proni ad ogni sopruso, costituisce tortura insopportabile.
Invece, vorremmo che si approfondisse la vicenda specifica nel merito. Gradiremmo un vero e proprio giudizio sul nostro operato di giornalisti: che l'Ordine valutasse l'articolo per cui siamo stati condannati, pronunciandosi nel merito giornalistico e deontologico.
Se abbiamo commesso diffamazione meritiamo un provvedimento disciplinare e non in sede di “verità giudiziaria” che, come si sa, non sempre coincide con la verità storica e fattuale e, quasi sempre, nemmeno arriva in tempo utile per essere pronunciata.
Noi abbiamo bisogno di comprendere se davvero abbiamo diffamato le persone di cui scrivemmo, perché, se lo avessimo fatto, dovremmo rispondere prima di tutto alla nostra coscienza, poi all'Ordine dei Giornalisti e, infine, alle Leggi dello Stato.
Diversamente, però, se nell'articolo non vi è diffamazione, se la frase che il PM ha posto a fondamento della richiesta di condanna, non esiste e nemmeno è sottintesa (sì, vi sembra assurdo ma è così e non abbiamo difficoltà a documentarlo perché i giornali sono stampati con inchiostro indelebile!). Allora vuol dire che in gioco non è la posizione processuale di due giornalisti figli di un dio minore (quello dei Pubblicisti), ma la libertà garantita dall'articolo 21 della Costituzione.
In questo caso, ed è proprio questo il caso, cari colleghi e cari rappresentanti dell'Ordine dei Giornalisti, quella che siamo tutti tenuti a combattere è una battaglia epocale che va ben oltre la difesa della libertà di stampa ma è collocata alla estrema difesa della democrazia stessa.
Per questo motivo, chiediamo di poter riferire con la massima urgenza al Consiglio dell'Ordine Regionale e Nazionale i dati specifici del Processo che ci ha visti condannare, affinché si proceda all'assunzione delle responsabilità e dei provvedimenti conseguenti: sia che si tratti di provvedimenti a nostro carico, sia che si tratti delle doverose azioni di tutela della democrazia in Italia.
Nino Grilli e Nicola Piccenna

venerdì 15 novembre 2013

Filippo Bubbico: prendeva il pizzo più alto del mondo, l'hanno fatto viceministro dell'Interno

25/6/1994 Bubbico Filippo, presidente del Consorzio Seta Italia (dove la Camera di Commercio lo chiamava Bibbibo!) e del Consorzio Seta Basilicata, intascava il 75% dei compensi del Dr. X, agronomo. Erano soldi finanziati dalla Comunità Europea per il progetto di gelsibachicoltura che i Consorzi avrebbero realizzato in Italia (mai visto un filo di seta, miliardi di lire buttati).
Un giornale pubblicò le ricevute della vergogna il 26/11/2006 e tutti hanno potuto leggere e conoscere.
 
 
Filippo Bubbico ha fatto carriera, è stata premiata la sua abilità nell'incassare un "pizzo" record.
Nemmeno la 'ndrangheta riesce a farsi pagare il 75% di un appalto!
Filippo Bubbico  oggi è Viceministro agli Interni
 
Riproponiamo le ricevute della vergogna, affinché nessuno possa dire di non sapere, nemmeno quei magistrati che lessero l'articolo pubblicato in data 26/11/2006
 







 
 

martedì 12 novembre 2013

Lucania: triste, indolente y final

Lucania: triste, indolente y final

Verrebbe da abbandonarla questa Lucania. Questi Lucani pigri, indolenti, accattoni, infingardi, schiavi di un qualche privilegio, foss'anche quello di anticipare una visita specialistica di quindici giorni e, per quello, pronti a sostenere una classe politica inetta, pigra, indolente, infingarda, schiava del potere che le consente un accesso al denaro facile, senza lavoro, senza controllo, senza ritegno.

Verrebbe da lasciare questa terra scuotendo la polvere dai sandali, se non avessimo qui affetti, storia e cuore. La retorica della gente umile, lavoratrice e onesta, continua stancamente a mulinare nell'aria immobile dei contadini che seminavano a novembre per raccogliere a giugno ed hanno sostituito questa (già lenta) pratica con il set-a-side: non seminano nemmeno e, a giugno, raccolgono l'elemosina dell'Europa che li trasforma da contadini pigri in accattoni nullafacenti. I borghesi, poi, quelli che qualche lume d'intelletto dovrebbero averlo, si guardano bene dall'azzardare la formulazione d'idee o progetti, una qualche attività illuminata e costruttiva del domani. Emergono solo i più pigri, i più indolenti, i più infingardi, i più inetti; coloro che aggiungono a tali eccellenze la destrezza e la furbizia. Questi sono la classe dirigente, coloro che dirigono la nave Lucana negli sprofondi di ogni classifica di merito e sulla cresta di tutte le elencazioni di disvalore sociale, economico e culturale.

É accertato che il vertice della Procura Generale presso la Corte d'Appello di Potenza, Vincenzo Tufano, Modestino Roca, Gaetano Bonomi (ed una imprecisabile schiera di funzionari apicali delle forze dell'ordine) meritano una richiesta di rinvio a giudizio per associazione per delinquere finalizzata alla costituzione di una setta segreta.

É acclarato che ad un Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica di Matera, Annunziata Cazzetta, viene consentito per anni di occuparsi (quasi in regime di monopolio) di decine di procedimenti penali a carico di un giornalista dopo averlo ripetutamente querelato. Salvo poi condannare la sventurata alla censura mitigata dall'attenuante (falsa) di aver tenuto un solo procedimento! E Annunziata Cazzetta continua a restare a Matera, monito per quanti volessero illudersi che ai magistrati infedeli possa capitare un qualche dispiacere.

É proprio vero che un politico di alto profilo, Bubbico Filippo (architetto), intascava il 75% delle progettazioni finanziate da fondi europei per la realizzazione di impianti di gelsibachicoltura (anche questi finanziati per miliardi di lire) presso le aziende agricole di suo padre, di suo suocero e di altri cittadini italiani che non hanno prodotto un solo filo di seta.

É emerso dagli atti giudiziari che il Procuratore Capo presso la Procura della Repubblica di Matera, Celestina Gravina, ha nascosto una querela per calunnia contro Emilio Nicola Buccico infilandola in un procedimento penale che era già avviato all'archiviazione (ben prima che la querela fosse depositata) e, non contenta, ha trasmesso l'opposizione a quella stessa archiviazione solo dopo che il giudice aveva assunto la decisione di archiviare. Un episodio di favoreggiamento spudorato e gravissimo.

Sono agli atti del Consiglio dei Ministri del 13 novembre 2003, le dichiarazioni virgolettate del Ministro Altero Matteoli e del Sottosegretario Gianni Letta, in cui Filippo Bubbico viene indicato come consenziente (ma non entusiasta) della scelta di ubicare a Scanzano il Deposito Unico delle scorie nucleari Italiane. Bubbico, in difesa del suo onore violato, ha querelato il Ministro Carlo Amedeo Giovanardi ed i giornalisti che quel verbale resero pubblico. Come se avesse un onorabilità da difendere uno che strozza l'agronomo pretendendo il “ritorno” del 75% del suo fatturato! Ma in Italia, questi signori li fanno vice-ministri agli interni, così che possano industriarsi con dovizia di mezzi nell'affinamento delle qualità già mostrate.

É sotto gli occhi di tutti il villaggio “Marinagri”, finanziato con decine di milioni di euro di soldi pubblici e costruito nell'alveo di piena del fiume Agri. Occorre aggiungere spiegazioni o commenti?

É stato reso formalmente noto alle Procure della Repubblica di Potenza e Napoli, che dal più grande giacimento petrolifero dell'Europa continentale, sotto il suolo Lucano, insieme col petrolio, vengono estratte decine di migliaia di tonnellate di “gas-stream” di cui non si conosce il destino. Ma nella terra dei misteri, non esiste nemmeno il contatore che misura le quantità di greggio estratto, queste domande non meritano nemmeno una risposta.

Migliaia di giovani hanno scelto di abbandonare questa terra ed i genitori coscienziosi è questo che consigliano ai propri figli: partire per non tornare.

Allora bisogna chiedersi se vale ancora la pena di restare, se vale la pena di scrivere quando tanti tacciono o, peggio, prestano la penna al valvassore di turno che gli lancerà un tozzo di pane per sopravvivere (e nemmeno tanto grande!).

Certo, ad evitare entusiasmi da “scampato pericolo” di siffatti cialtroni, siamo consapevoli che non potremo lasciare la Lucania, abbandonare il campo, prima di aver terminato quanto abbiamo iniziato. Poiché siamo cavalieri d'antico e indomito cuore e non ci ritireremo se non quando i nostri figli potranno tornare e ricostruire dove loro hanno depredato, distrutto e cancellato. Ma non ci vorrà ancora molto.
Nicola Piccenna, alias Filippo de Lubac