Quella mera esigenza di ripristino della legalità
Viviamo tempi difficili: bella scoperta, diranno in molti.
In verità non è una scoperta recente, di immanente c’è la constatazione sorprendente che anche i gangli istituzionali sono assuefatti ad ogni sorta di spregiudicatezza.
Una cooperativa sociale di produzione e lavoro gestisce un asilo comunale, con un contratto stipulato e registrato a seguito di una gara d’appalto vinta. La Cooperativa assume personale per garantire x posti/alunno, secondo le rigide regole che disciplinano il settore: tot educatrici, tot cuoche, tot guardarobiere; tot addette alle pulizie, tot tot tot.
La Cooperativa ha l’obbligo di mantenere quel personale indipendentemente dal numero dei bambini frequentanti ed il Comune ha l’obbligo di pagare vuoto per pieno per quel numero di posti da garantire.
La storia procede per 13 anni, finché il Comune decide, unilateralmente di ridurre la retta del 30% (l’asilo comunale nel centro città era inagibile e la nuova, si fa per dire, sede dell’asilo era una fatiscente palazzina di periferia dove si era registrato il fuggi fuggi). Meno entrate per 14.500 euro al mese ma le stesse uscite perché le Coop. Sociali non possono licenziare. Il sindaco, meschino, riconosce in un incontro in Prefettura la gravità della situazione, con lui ci sono i dirigenti del Comune, i sindacati dei lavoratori, i responsabili della Cooperativa, il Presidente del Consiglio Comunale: trovato e sottoscritto l’accordo. Il Comune riconoscerà la differenza di 14.500 euro al mese sino all’espletamento della nuova gara d’appalto. Ma è un impegno farlocco, cui ne segue un altro sempre in Prefettura sempre con accordo sottoscritto, sempre con tutti gli attori del caso, sempre disatteso totalmente, sempre farlocco!
Gli stipendi arretrati cominciano ad essere troppi, una raffica di decreti ingiuntivi blocca del tutto la liquidità della cooperativa ed il Comune, giustamente, minaccia di revocare (o meglio di non prorogare) l’affidamento dell’appalto. Sarebbe la chiusura della cooperativa ed il licenziamento di tutte le lavoratrici dopo trent’anni di onorato servizio. Quando tutto sembra perduto, incredibilmente, si riparte dalle socie/lavoratrici. Votano un nuovo assetto amministrativo, votano un piano di risanamento aziendale, si impegnano a dare “respiro” alle finanze rinunciando ad una intera mensilità e impegnandosi a non adire le vie legali se gli stipendi arretrati non superano le tre mensilità.
Si tenterà di ottenere dal Comune quanto promesso, per recuperare anche le tre mensilità ancora in arretrato e per arrivare al nuovo affidamento dell’appalto che, anche se non vedrà la cooperativa aggiudicataria, permetterà alle sue dipendenti di non perdere il lavoro poiché vige l’obbligo del vincitore di assumerle: la c.d. “Clausola Sociale”.
Per “blindare” l’accordo, l’avvocato di alcune dipendenti propone di ratificarlo in sede sindacale e così avviene. Tutte la socie/dipendenti si recano presso il sindacato e firmano, l’intesa: presente il rappresentante sindacale, gli avvocati, le socie/lavoratrici. Tutte tranne una che impossibilitata da improvvisa malattia, non firmerà neanche dopo essere rientrata in salute.
Per otto mesi tutto fila liscio, la cooperativa eroga 13 mensilità ed il bilancio passa da 150 mila euro di perdita a pareggio. Sembra un miracolo ma dura poco.
Otto socie/lavoratrici (sette sottoscrittrici dell’accordo e quella impedita a farlo dall’improvvisa malattia) impugnano l’accordo sindacale: dicono di essere state costrette a firmare. L’avvocato, quello stesso che aveva redatto l’accordo, fornito la giurisprudenza che ne accreditava la legittimità, proposta la ratifica in sede sindacale, presenziato all’assemblea dei soci ed alla firma dell’accordo dal sindacato, le patrocina in sede giuslavoristica (raffica di decreti ingiuntivi) e presso il Tribunale delle Imprese (impugnando l’invalidità dell’assemblea dei soci in cui le sue assistite avevano votato favorevolmente il testo che egli stesso (avvocato) aveva predisposto.
Una truffa premeditata e cinicamente attuata che riporta in rosso i conti della cooperativa, bloccando ogni liquidità. Ma non basta! Quando si prende la china…
L’avvocato e le Sue assistite che si dimettono senza nemmeno concedere il preavviso, chiedono e ottengono altri decreti ingiuntivi per il pagamento del Trattamento di Fine Rapporto, il TFR. Ma anche questa è una truffa, perché il TFR veniva corrisposto mensilmente: lo documentano 2.700 cedolini paga che la cooperativa presenta al giudice del lavoro e vengono ignorati. Lo documentano trent’anni di bilanci ufficiali depositati in camera di commercio. Lo testimoniano i consulenti che hanno curato l’amministrazione della cooperativa e l’amministrazione del Personale: provvisoria esecuzione!
A questo punto, alla cooperativa ed alle socie/lavoratrici rimaste che, da un giorno all’altro hanno dovuto sostenere anche il peso del lavoro abbandonato dalla sera alla mattina dalle loro ex colleghe: non un solo giorno di disservizio o un solo accenno di difficoltà è stato lasciato passare al servizio prestato; non è rimasto che l’atto più difficile; la denuncia penale contro l’avvocato spregiudicato e le ex-colleghe diventate spregiudicati ladri con destrezza.
Qui, viene il peggio, la mazzata più dura.
Il PM, dopo pochi giorni dalla ricezione di una querela argomentata con 2.800 pagine di evidenze probatorie, chiede l’archiviazione scrivendo: “… si sofferma dettagliatamente ad evidenziare le modalità truffaldine con le quali - a suo dire - sarebbero stati presentati ricorsi per decreti ingiuntivi per il pagamento del TFR dalle ex socie, rappresentate dall'avv. ……., nonostante il legale e le sue assistite fossero consapevoli del fatto che il TFR veniva erogato quota parte in busta paga e nonostante per parte delle somme pretese fosse stato già azionato un pignoramento presso terzi in precedenza…”
Il Giudice del Lavoro, scrive il falsamente in sentenza che gli accordi sindacali non sono firmati dal sindacalista… riconosce alle ricorrenti le somme richieste comprensive dei contributi e degli oneri fiscali già versati dalla cooperativa… si dimentica persino di sottrarre loro le somme versate “banco iudicis”… sbaglia nel calcolare le spettanze che lui stesso aveva stabilito per l’avvocato (riconosce cifre superiori)… Il Giudice dell'esecuzione riconosce il doppio delle spese per una stessa sentenza...
Praticamente hanno spogliato la cooperativa di tutto ma non della dignità delle socie rimaste, degli amministratori che hanno compiuto un (mezzo)miracolo che diventerà intero quando si svolgerà il processo penale che condannerà l’avvocato e le sue assistite per le truffe e gli altri reati che hanno commesso.
Poco meno di quindici anni fa, il Direttore Generale della Pubblica Istruzione, pronunciò un famoso “verdetto amministrativo” a proposito di un concorso truccato che la magistratura aveva scoperto, processato e condannato ma non aveva cambiato i vincitori e premiato i ricorrenti. Le sue parole suonano attualissime: “L’annullamento di un atto, non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalità”. Sono attuali per il Procuratore ed il suo Sostituto, per i Giudici del Lavoro, per il Giudice dell'Esecuzione: il mero ripristino della legalità esprime perfettamente il loro pensiero ed ispira il loro operato negligente, neghittoso, trascurato, sciatto!
Si prendano pure tutto, con la truffa, con la complicità o la neghittosità di pochi e isolati magistrati, con la trascuratezza e l’indolenza di chi preferisce girare la testa.
Noi continueremo a difendere la credibilità dello Stato che ha nel ripristino della legalità il compito più alto, quello che rende effettiva l’uguaglianza dei cittadini davanti alla Legge, cioè garantisce lo stato di diritto nel quale vogliamo vivere e per farlo non possiamo smettere di costruirlo.
Filippo de Lubac