C'era una volta un
avvocato che, durante il processo contro un giornalista reo di
essersi occupato di un tragico fatto di cronaca nera, cominciò
l'arringa finale dicendo forte: “questi morti non sono proprietà
privata, nemmeno dei loro stessi familiari di cui rispettiamo il
dolore. Questi morti sono nostri, di tutta la società civile che ha
diritto di sapere chi o cosa li ha uccisi e di chiedere la punizione
per gli assassini, se mai verranno scoperti”!
Ecco perché s'impone una
riflessione e soprattutto un moto di civismo per i “nostri” Luca
e Marirosa, trovati senza vita in una stanza da bagno 26 anni fa a
Policoro, piccola cittadina sul Mar Jonio in provincia di Matera.
Per troppo tempo abbiamo
abdicato al dovere etico di informare ed a quello civico di
pretendere che l'autorità giudiziaria svolgesse con la massima
diligenza i compiti suoi propri. Vittime anche noi di un tragico
equivoco: che i morti siano una proprietà privata delle famiglie di
origine. Tanto che ne vogliano rivendicare giustizia quanto che ne
chiedano oblio.
Non è così, non è così!
Nel pomeriggio del 23
marzo 1988 e nella notte che ne seguì, accaddero gli eventi che
privarono il mondo di due giovani vite piene di bellezza, di gioie,
di progetti e desideri del divenire. S'incontrarono, Luca e Marirosa,
appena rientrati dalle università di Milano e Napoli dove avevano
appena superato l'esame a Giurisprudenza (lui) e Lingue (lei), gli
ultimi appuntati sui loro libretti! Non immaginavano certo quanto
breve tempo, appena una manciata di ore, gli restava da vivere e di
quei sogni, desideri, progetti il definitivo distacco.
Li trovarono
ufficialmente intorno alla mezzanotte, in casa di lei, nel bagno. In
pochi minuti arrivarono amici, parenti e conoscenti; per ultimi i
Carabinieri!
Erano nudi ma Luca aveva un jeans che gli copriva i
genitali. Qualcuno, però, dichiara di averlo visto
nudo, Luca, con i genitali gonfi come chi è stato vittima di
pestaggio.
C'era acqua nella vasca da bagno, dice qualcuno ma qualcun
altro afferma il contrario.
Un solo fotografo riprende la scena
usando una sola macchina fotografica e stando in piedi su una sedia,
ma le fotografie sono scattate da angolazioni diverse e con almeno
tre macchine fotografiche e tre diversi tipi di flash.
Marirosa è
nella vasca da bagno, con una gamba a penzoloni fuori dal bordo. Luca
disteso sul pavimento, vicino alla vasca con le braccia raccolte sul
petto e le mani chiuse a formare deboli pugni. Parallelo alla vasca
da bagno, dicono alcuni. Obliquo, ribattono altri, confortati dalle
fotografie di cui si sono persi i negativi.
Mai ricevuti dicono i
carabinieri. Consegnati come sempre, ribadisce il fotografo che dopo
sei anni, chiamato a chiarire le circostanze di quel “servizio
fotografico” dichiara: “queste non sono le mie foto, queste non
sono foto di un professionista”. Ma, dopo pochi giorni, torna dai
Carabinieri spontaneamente e cambia tutto: “non sono più sicuro
che non siano le mie foto ma nemmeno sono sicuro che lo siano”.
Quel fotografo è morto da tempo e le domande che non gli sono state
fatte allora non gliele potrà più fare nessuno.
C'è un altro
fotografo, spunta fuori nel 2007, dice di essere stato lui a scattare
le foto quella tragica notte. Dice che la casa era deserta e la porta
l'aprirono i Carabinieri che avevano la chiave in caserma. Se quello
che racconta è vero, lui è stato in casa prima del ritrovamento
“ufficiale”, perché da quel momento la casa non è mai stata
vuota. Ma non gli credono.
Il PM titolare delle indagini si lascia
andare ad una confidenza sotto l'ombrellone: “Uffaaaa, proprio a me
dovevano dare questo caso? Ma io l'archivio, io l'archivio”! E, per
archiviare, il secondo fotografo non può essere credibile né si può mettere
alle strette il carabiniere che avrebbe accompagnato il fotografo a
casa di Marirosa il quale non ricorda perfettamente quell'episodio.
Troppo difficile spiegare perché i fogli del giornale di
caserma del 24 marzo 1988 sono pieni di pasticciate correzioni. Quel
libro, riporta il dettaglio di chi ha fatto cosa, ora per ora, giorno
per giorno, mese per mese. Sempre impeccabili, quei fogli. Sempre
firmati dal comandante. Sempre, tranne che il 24 marzo 1988.
Cancellature, abrasioni ed una firma irriconoscibile ma forse no. Una
“M” con i riccioletti può essere una pista ma viene anche questa
ignorata.
È una tragedia scoprire che la propria migliore amica è
morta e non la si incontrerà più. È terribile che il proprio
migliore amico sia scomparso così tragicamente. Ma da tutti gli
amici e le amiche di Luca e Marirosa, ed erano tanti, non si
ottengono due sole versioni coincidenti. Sembra che ognuno abbia
vissuto un'altra “commorienza” con modalità e particolari, anche
importanti, molto diversi tra loro.
“Andammo a Napoli a prendere la
sorella di Marirosa ma, quando arrivammo, siamo
colà giunti intorno alle ore 10.00,
non la trovammo perché era passato a prenderla il fidanzato”,
questo dichiarò Chiara ai Carabinieri il 30 luglio 1994. Il 24 Marzo
1988 “sono giunti a Napoli degli amici di Matera. Mi hanno detto
che mia sorella era morta. Poiché gli stessi mi avevano detto che
Marco ne era già al corrente e che sarebbe passato a prendermi, l'ho
aspettato e siamo partiti per Policoro” (dichiarazioni rese da
Francesca ai Carabinieri di Policoro il 22 maggio 1994).
Sono decine le
incongruenze e le contraddizioni nei racconti di una vicenda
pasticciata in cui ci si domanda se ciascuno dica davvero tutto quello che sa e molto
di quello che si dice appare artefatto e contraddittorio.
Poi,
inattesa, arriva la scoperta più inquietante. Il vice-pretore
onorario, Avv. Ferdinando Izzo, che intervenne quella notte trista su
delega del Pubblico Ministero Dr. Vincenzo Autera, dichiarò al PM
Eva Toscani il 9 aprile del 1997: “...nella vasca da bagno vi era
la ragazza e fuori dalla stessa, ma non completamente, il
ragazzo...”. E sempre durante quello stesso colloquio, Izzo disse:
“...Quella stessa sera concordai con i Carabinieri che l'indomani
si sarebbe svolta la visita esterna dei due cadaveri...”.
A quale
sera si riferiva, visto che il suo arrivo sulla scena è intorno alle
due del mattino? Quel colloquio terminò con l'incriminazione
dell'avv. Izzo: “A questo punto il P.M. rilevato che a carico
dell'Avv. Izzo emergono indizi di reità per l'ipotesi di cui agli
artt. 110, 476, 479 c.p.,sospende l'esame ed avverte lo stesso che
potranno essere svolte indagini sul suo conto e della facoltà di
nominarsi un difensore di fiducia”.
Eva Toscani chiese per Izzo
l'archiviazione il 18/11/1997, respinta. La richiese il 28/2/1998,
respinta. Poi la D.ssa Toscani si astenne ed il Procuratore della
Repubblica, Giovanni Leonardi, chiese per Izzo il rinvio a giudizio
in data 26/11/1998. Per Ferdinando Izzo, finì con un proscioglimento
con formula ampia. Nessuno gli ha mai chiesto conto di quel racconto
al PM che descrive una scena tanto diversa da quella “ufficiale”.
Recentemente, durante una udienza pubblica, un avvocato ha
rivendicato per Izzo il “diritto all'oblio”. Alcuni ci hanno
tenuto a dire che, dopo la terza archiviazione del “caso” (a 26
anni dalla morte) Luca e Marirosa, finalmente, riposeranno in pace.
Si sbagliano, costoro, perché Luca e Marirosa riposano in pace dal
primo istante in cui sono morti.
Mentre, non riposeranno mai in pace
coloro che sanno e non parlano, troppo grande il peso che hanno sulla
coscienza.
L'oblio che cercano forse arriverà, forse la piccola
pattuglia di giornalisti che ha studiato e reso pubblico il “caso”
si arrenderà un giorno alle querele, alle condanne, agli sberleffi
di cui sono stati fatti oggetto. Forse! Ma questo non consentirà una
sola notte di sonno sereno a coloro che, da 26 anni e 82 giorni
conoscono il segreto di quelle morti e fanno di tutto per farcene
dimenticare. Luca e Marirosa sono i nostri morti!
(13/6/2014) di Filippo de Lubac
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