“Autonomia Forense” e “Sindacato Avvocati” della provincia di Matera sulle “note vicende del Procedimento c.d. Toghe Lucane”
Sono trascorsi quasi due mesi dalla “chiusura” dell’inchiesta sulle “Toghe Lucane”: magistrati sospettati di aver messo in piedi un’associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari ed altre (non meno gravi) violazioni del codice penale. Le parti che sono state ritenute “offese” dalle condotte criminose, gli indagati e (in parte) i lettori attenti hanno ben potuto leggere quali evidenze, fatti e circostanze supportano le ipotesi accusatorie. Persino l’organismo di autogoverno dei magistrati, il Consiglio Superiore della Magistratura, e l’attento Ministro della Giustizia, On. Avv. Angelino Alfano, avranno ben avuto modo di prendere visione delle condotte poste in essere da: S.E. il Dr. Vincenzo Tufano (Proc. Gen. a Potenza), Dr. Gaetano Bonomi (sost. Proc. Gen. a Potenza), Dr. Giuseppe Chieco (Proc. Capo a Matera), D.ssa Felicia Genovese (ex sost. Proc. DDA a Potenza) e tanti altri fra generali, colonnelli, avvocati ed un ex membro dello stesso CSM. Ora, se per un sostituto procuratore che non aveva informato il suo Procuratore Capo dell’imminente misura cautelare di perquisizione si arrivò a chiedere il trasferimento immediato e la censura con l’esclusione da incarichi monocratici, quali misure andrebbero invocate per gli associati per delinquere col fine della corruzione in atti giudiziari? Se per un intervento televisivo in cui un sostituto procuratore segnalava la difficoltà di procedere nelle indagini, dovendo continuamente rispondere ad ispezioni ministeriali, si scomodò il Presidente della Repubblica (On. Giorgio Napolitano) invocando la riservatezza e la discrezione dei magistrati; cosa potrà chiedere a quei magistrati che pilotavano le deposizioni di generali, colonnelli e capitani per screditare sostituti procuratori nell’esercizio delle loro funzioni giudiziarie? Ed invece nulla! Dalla chiusura di “Toghe Lucane” silenzio e discrezione la fanno da padroni. Ma non è un silenzio nobile. Non c’è nulla di onorevole nel sottacere l’abuso ed il sopruso di giustizia. Non è giustificabile chi finge di non vedere e non sapere persino di fronte all’evidenza degli atti d’indagine. E non si fa riferimento (solo) alle alte cariche dello Stato e del CSM. Anche la politica, quella spicciola dei parlamentari lucani e dei consiglieri regionali, quella delle amministrazioni e delle poltrone para-regionali, degli Enti e delle Comunità Montane; qualcosa avrebbe potuto fare e non l’ha fatto, qualcuno avrebbe dovuto parlare e non l’ha detto. Anche il mondo delle Professioni, avvocati in testa (per ovvi motivi), qualcosa aveva il dovere di esprimere, ed ha taciuto. Perché? Forse perché veniamo da decenni di subordine. Forse perché siamo un po’ vigliacchi ed un po’ borghesi: paura di prenderle o pigrizia nel darle. Le battaglie comportano sempre molto lavoro e qualche rinuncia. Forse perché troppi tentativi coraggiosi erano finiti nel nulla o, peggio, nel sangue. Ma anche queste considerazioni, oggi, appaiono superate. La Procura di Catanzaro ha approntato una delle inchieste più documentate di cui la storia giudiziaria abbia memoria; certamente la più completa sulle connessioni fra “distrazione” di finanziamenti pubblici, disattenzione o collusione di magistrati e coinvolgimento di politici degli ultimi quarant’anni. La Procura di Salerno ha il sospetto che i magistrati di Matera, Potenza e Catanzaro (ma, forse anche di Roma e dei ministeri) abbiano organizzato una sistematica opera di delegittimazione e depistaggio per sottrarsi alla morsa dell’inchiesta “Toghe Lucane”. Ed i metodi con cui avrebbero operato questi “signori del diritto” somigliano più a quelli di “Al Capone” che al rigore di “Joe Petrosino”. Giunge avviso che due organizzazioni di professionisti forensi hanno deciso di dire la loro, pubblicamente, sull’inchiesta “Toghe Lucane” e le implicazioni con l’amministrazione della giustizia in Basilicata. Beh, era ora che anche gli addetti ai lavori parlassero, loro che ben conoscono la materia del contendere. Insomma, qualcosa di significativo ha turbato l’equilibrio apatico che regnava in Lucania e che non sembrava nemmeno scalfito dalle duecentomila pagine scritte nell’inchiesta della Procura di Catanzaro. Cosa diranno gli avvocati, non ci è dato sapere. Ma, in questo momento storico, non è tanto il contenuto a rassicurarci quanto il fatto stesso che lo vadano a dire, davanti a microfoni e telecamere, proprio nel Palazzo di Giustizia di Potenza. Chissà che non sia l’inizio del risveglio della politica, questa bella addormentata nelle terre di Lucania. Forse qualcosa di nuovo è già cominciato, certo è che qualcosa di vecchio è ormai (irreversibilmente) finito.
Filippo De Lubac (da http://www.ilresto.info/3.html)
Sono trascorsi quasi due mesi dalla “chiusura” dell’inchiesta sulle “Toghe Lucane”: magistrati sospettati di aver messo in piedi un’associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari ed altre (non meno gravi) violazioni del codice penale. Le parti che sono state ritenute “offese” dalle condotte criminose, gli indagati e (in parte) i lettori attenti hanno ben potuto leggere quali evidenze, fatti e circostanze supportano le ipotesi accusatorie. Persino l’organismo di autogoverno dei magistrati, il Consiglio Superiore della Magistratura, e l’attento Ministro della Giustizia, On. Avv. Angelino Alfano, avranno ben avuto modo di prendere visione delle condotte poste in essere da: S.E. il Dr. Vincenzo Tufano (Proc. Gen. a Potenza), Dr. Gaetano Bonomi (sost. Proc. Gen. a Potenza), Dr. Giuseppe Chieco (Proc. Capo a Matera), D.ssa Felicia Genovese (ex sost. Proc. DDA a Potenza) e tanti altri fra generali, colonnelli, avvocati ed un ex membro dello stesso CSM. Ora, se per un sostituto procuratore che non aveva informato il suo Procuratore Capo dell’imminente misura cautelare di perquisizione si arrivò a chiedere il trasferimento immediato e la censura con l’esclusione da incarichi monocratici, quali misure andrebbero invocate per gli associati per delinquere col fine della corruzione in atti giudiziari? Se per un intervento televisivo in cui un sostituto procuratore segnalava la difficoltà di procedere nelle indagini, dovendo continuamente rispondere ad ispezioni ministeriali, si scomodò il Presidente della Repubblica (On. Giorgio Napolitano) invocando la riservatezza e la discrezione dei magistrati; cosa potrà chiedere a quei magistrati che pilotavano le deposizioni di generali, colonnelli e capitani per screditare sostituti procuratori nell’esercizio delle loro funzioni giudiziarie? Ed invece nulla! Dalla chiusura di “Toghe Lucane” silenzio e discrezione la fanno da padroni. Ma non è un silenzio nobile. Non c’è nulla di onorevole nel sottacere l’abuso ed il sopruso di giustizia. Non è giustificabile chi finge di non vedere e non sapere persino di fronte all’evidenza degli atti d’indagine. E non si fa riferimento (solo) alle alte cariche dello Stato e del CSM. Anche la politica, quella spicciola dei parlamentari lucani e dei consiglieri regionali, quella delle amministrazioni e delle poltrone para-regionali, degli Enti e delle Comunità Montane; qualcosa avrebbe potuto fare e non l’ha fatto, qualcuno avrebbe dovuto parlare e non l’ha detto. Anche il mondo delle Professioni, avvocati in testa (per ovvi motivi), qualcosa aveva il dovere di esprimere, ed ha taciuto. Perché? Forse perché veniamo da decenni di subordine. Forse perché siamo un po’ vigliacchi ed un po’ borghesi: paura di prenderle o pigrizia nel darle. Le battaglie comportano sempre molto lavoro e qualche rinuncia. Forse perché troppi tentativi coraggiosi erano finiti nel nulla o, peggio, nel sangue. Ma anche queste considerazioni, oggi, appaiono superate. La Procura di Catanzaro ha approntato una delle inchieste più documentate di cui la storia giudiziaria abbia memoria; certamente la più completa sulle connessioni fra “distrazione” di finanziamenti pubblici, disattenzione o collusione di magistrati e coinvolgimento di politici degli ultimi quarant’anni. La Procura di Salerno ha il sospetto che i magistrati di Matera, Potenza e Catanzaro (ma, forse anche di Roma e dei ministeri) abbiano organizzato una sistematica opera di delegittimazione e depistaggio per sottrarsi alla morsa dell’inchiesta “Toghe Lucane”. Ed i metodi con cui avrebbero operato questi “signori del diritto” somigliano più a quelli di “Al Capone” che al rigore di “Joe Petrosino”. Giunge avviso che due organizzazioni di professionisti forensi hanno deciso di dire la loro, pubblicamente, sull’inchiesta “Toghe Lucane” e le implicazioni con l’amministrazione della giustizia in Basilicata. Beh, era ora che anche gli addetti ai lavori parlassero, loro che ben conoscono la materia del contendere. Insomma, qualcosa di significativo ha turbato l’equilibrio apatico che regnava in Lucania e che non sembrava nemmeno scalfito dalle duecentomila pagine scritte nell’inchiesta della Procura di Catanzaro. Cosa diranno gli avvocati, non ci è dato sapere. Ma, in questo momento storico, non è tanto il contenuto a rassicurarci quanto il fatto stesso che lo vadano a dire, davanti a microfoni e telecamere, proprio nel Palazzo di Giustizia di Potenza. Chissà che non sia l’inizio del risveglio della politica, questa bella addormentata nelle terre di Lucania. Forse qualcosa di nuovo è già cominciato, certo è che qualcosa di vecchio è ormai (irreversibilmente) finito.
Filippo De Lubac (da http://www.ilresto.info/3.html)
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